(Gaetano Basile durante la sua lezione)
Gaetano Basile è un grande conoscitore della cultura siciliana. “E del cibo e del vino”, sottolinea. Ma anche di quella francese. “Mia moglie è di Lione”, racconta.
Così è l’uomo perfetto per raccontare ad un gruppo di francesi che hanno trascorso un paio di giorni in Sicilia per un press tour organizzato da Cronache di Gusto, cosa significa mangiare e bere siciliano. Lo fa al teatro Biondo, tra gli sguardi attoniti dei partecipanti. Perché Basile, che parla correttamente il francese, parla e parla con enfasi e passione. E quasi si materializzano i piatti che descrive e si sentono i sapori dei vini che racconta.
“Prima di tutto – spiega Basile – in un piatto ed in un calice di vino c’è la lettura del nostro territorio, la sua storia. Mi spiego meglio. Ad esempio in un piatto di pasta alla Norma, di chiare origini catanesi, abbinerò un vino dell’Etna, così come in un piatto a base di pesce, magari del trapanese, metterò accanto un vino di quelle parti. Questo perché l’armonia del territorio deve essere presente anche nei piatti e nei vini che si scelgono di abbinare”.
La Sicilia ha vissuto nel corso della sua storia millenaria, decine e decine di invasioni, “e tutte hanno lasciato tracce del loro passaggio nella nostra cucina. Quella più influente? Quella degli arabi”.
(Il gruppo di francesi che ha assistito alla lezione di Gaetao Basile)
La dominazione araba ha lasciato, tra le tante cose, il grano duro (da qui la farina e poi la pasta, ndr), la canna da zucchero ed il fagiolo: “Altro che dall’America – racconta Basile – già in epoca federiciana si parla di questo fagiolo nero proveniente dal centro Africa che viene inserito in una ricetta”.
La cucina siciliana ha un grande successo anche al di fuori dei confini del Mare, “il problema sono gli chef, che hanno troppa voglia di stupire”.
E Basile fa un paragone che rende subito l’idea: “Quando Picasso cominciò a dipingere, non è che fece subito i quadri con quadratini e triangolini, anzi, era il maestro della perfezione. I suoi quadri erano quasi fotografie. Poi divenne quello che tutti ricordiamo. Ecco la cucina italiana è partita al contrario: prima fa i triangolini e i quadratini ed ora vorrebbe diventare perfetta”.
Ammira Gualtiero Marchesi “per la modestia che ancora lo contraddistingue”, non sopporta tutti questi programmi di cucina “dove si vede spadellare a tutte le ore del giorno e della notte. Questa è stata la prima rovina della cucina”.
Ma in cucina vincono gli italiani o i francesi’ “Non è certo una gara, sono due cose diverse. La nostra è una cucina più rustica, fatta di sapori intensi, loro hanno più finezza. Rimangono i maestri”.
E se dovesse consigliare un piatto tipico siciliano ai francesi ed uno tipico francese ai siciliani? “Non avrei dubbi: vastedda con la meusa e un bianco ben strutturato e un rŏti (una sorta di arrosto) innaffiato con un calice di Bordeaux come Dio comanda. Ma non disdegno nemmeno il foie gras con un bicchiere di Sauternes”.
Giorgio Vaiana