Oltre che con le pizze, Franco Pepe ti conquista con il suo accento della provincia di Caserta. Diverso (e molto) rispetto a quello napoletamo.
Il maestro pizzaiolo in questo momento si divide tra casa e la sua bottega a Caiazzo, in provincia di Caserta. “Io ho tenuto accesa questa fiamma nei miei forni – racconta a Cronache di Gusto – la fiamma che definisco della speranza. Ho un gruppo di 43 collaboratori che adesso sono dovuti rimanere a casa, ma a turno ci alterniamo e, rispettando le misure del decreto del governo per evitare il contagio da coronavirus, ci vediamo in laboratorio”. Già, perché Franco Pepe ha un cuore d’oro. “Quando hanno comunicato la chiusura delle attività – prosegue nel racconto Pepe – il mio pensiero è andato ai 250 panetti che avevamo preparato per affrontare una classica serata. E a tutte le materie prime pronte per condire le pizze. Non potevo sprecare tutto quel cibo”. E allora Pepe, con alcuni dei suoi collaboratori, si è messo ad impastare e sfornare pane e pizza che ha distribuito a varie associazioni del territorio che si occupano dei bisognosi e dei senzatetto e a qualche conoscente. “Dopo quella giornata – dice Pepe – ho capito che era giusto continuare a fare quello che avavemo fatto. A pensare a chi ha piu bisogno di noi>“.
Ma non solo. Perché Pepe, con il suo staff, sta trascorrendo questo tempo anche a sperimentare. “Ci mandano spesso delle farine da testare – dice – e noi lo stiamo facendo approfittando del tanto tempo libero. E allora impastiamo, panifichiamo, facciamo le pizze. E poi regaliamo tutto. E’ un modo per sentirci vivi, per renderci utili. Una cosa bella. Per qualche ora ci ritroviamo lì. Come adesso per esempio. Ho appena infornato del pane. Domani faremo i biscotti e delle pizze a pranzo. Stiamo cercando di mappare il territorio e cercare di scovare quelle situazioni critiche, magari con delle persone che non possono muoversi da casa, per consegnargli quante più cose possibili”. Ora, volente o nolente, Pepe è fermo. E dire che aveva da affrontare due mesi, quelli di marzo e di aprile strapieni.
Tra gli eventi, “Authentica Stellata>” il format della pizzeria più piccola al mondo, con 8 fortunati che potevano assistere ad una serata in cui il maestro Pepe preparava le pizze con grandi chef stellati (Moreno Cedroni, Chicco Cerea, Antonino Cannavacciuolo, Heinz Beck, Pino Cuttaia, Andrea Aprea, Andrea Berton, Caterina Ceraudo, Matteo Baronetto, Paolo Barrale solo per citarne alcuni). “Un evento fantastico – dice Pepe – Far venire nella pizzeria più piccola del mondo chef di questo calibro per raccontare la pizza e le materie prime”. Erano circa una ventina gli appuntamenti che, comunque, assicura Pepe, saranno ricalendarizzati. Per Pepe, però, in questo momento non si deve pensare a tutti gli eventi che sono “saltati”: “Bisogna avere un atteggiamento più umano – dice – Prima salviamoci la vita e poi si ripartirà. Sappiamo come si fa, perché sappiamo quello che facciamo. Io, in questo momento, sto riflettendo tantissimo. E credo che, comunque, questa gravissima situazione, cambierà per sempre la nostra proposta nei confronti dei clienti”.
E Pepe spiega il suo pensiero: “Ci vorrà del tempo affinché tutto ritorni a com’era pirma – dice – ma credo che cambieranno varie cose, a partire dal modo di fare comunicazione per esempio. E poi l’attenzione massima del cliente e dell’igiene dei locali e di come saranno trattate le varie materie prime. Io metto sempre molto alta la mia asticella e per me sarà importante far capire al mio cliente che questa cosa del coronavirus ci ha segnato”. Non intende pensare ad una pizza che ricordi questo episodio (“non si fanno le pizze per ricordi negativi”), mentre continuerà il suo menu funzionale, “ideato oltre un anno e mezzo fa e che segue i criteri di una giusta e sana alimentazione. Un concetto e un approccio diverso al mondo della pizza. Proponiamo un prodotto in cui c’è grande attenzione su quello che mangi. Tanto che anche varie università lo stanno studiando”.
Poi il grido d’allarme sul mondo dei pizzaioli: “Manca la formazione, ma quella istituzionale – dice Pepe – I ragazzi non possono avviarsi a questa professione solo con le esperienze fatte a bottega o perché sono figli di pizzaioli. Ci vuole un percorso tecnico e scientifico. Oggi non esiste una scuola istituzionale fatta dal governo e per me è assurdo. Se pensiamo a tutti i progressi che abbiamo fatto noi dagli anni ’80 ad oggi, a partire dagli strumenti, dalle tecnologie, agli abbattittori, passando ad avere anche dei cuochi in pizzeria, per suggellare questa unione fra il mondo della cucina e quella della pizza. Abbiamo fatto tutto da soli, non solo a tutela nostra, ma anche per il cliente. Invece credo che dal punto di vista istituzionale abbiamo perso”. In che senso? “Oggi mi pare che sia davvero troppo facile ottenere delle licenze per aprire delle attività commerciali. Non ci sono regole. E’ possibile che tutti oggi possano davvero manipolare le materie prime? Negli anni passati ottenere un libretto sanitario era quasi impossibile. Oggi non è così. Per semplificare le pratiche burocratiche, temo che non si sia più tutelato il cliente”. E dopo l’emergenza coronavirus cosa farà? “In questo momento sono un po’ in pausa creativa – conclude Pepe – Ma di una cosa sono certo. Quando si ripartità, io ripartirò da qui, da Caiazzo”.
G.V.