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L'intervista

“Fiumi” di Pinot Grigio, ma redditività quasi a zero. Armani: “Non ci dormo la notte”

18 Febbraio 2020
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(Albino Armani)

di Emanuele Scarci

Un gigante dai piedi d’argilla? No. E’ un gigante nei numeri e nell’export, ma con una redditività all’osso per alcuni pezzi della filiera. E’ il Pinot Grigio, il bianco fermo leader italiano per volumi di esportazione.

Una produzione di circa 300 milioni di bottiglie, di cui 168 milioni delle Venezie, invade il mondo, ma il prezzo dell’uva riconosciuto agli agricoltori è una miseria: mediamente tra 0,45 e 0,55 centesimi al chilo con punte minime di 0,35 centesimi. Le quotazioni medie del vino rilevate dalla Borsa merci di Treviso a metà febbraio (0,80-0,90 euro/litro) sono inferiori del 33% rispetto a due anni prima e del 15% rispetto al 2018. A Trento invece le rilevazioni della Camera di commercio indicano per il Trentino Doc Pinot Grigio un prezzo medio di 1,85-2,10 euro/litro all’ingrosso. Praticamente più del doppio. Recentemente un gruppo di viticoltori veneti coordinato da Lucio Tebaldi ha calcolato che coltivare 1 ettaro di Pinot Grigio costerebbe intorno a 7 mila euro mentre il reddito arriverebbe a stento a 5.250 euro (considerato 150 quintali di uva/ettaro x 0,35 centesimi).  Alla fine non si coprirebbero nemmeno i costi.

“I dati di Tebaldi sono giusti anche se questa è la versione più negativa – osserva Albino Armani, presidente del Consorzio delle Venezie – Quella mediana sostiene che per non rimetterci devi avere un costo di 5-6 mila euro. Peraltro i 35 centesimi dell’uva si sono registrati solo in una piccola area della Doc. I prezzi in realtà variano da zona a zona delle 19 del Pinot Grigio, dipende dalla qualità e dagli interlocutori: ci sono interlocutori che riescono ad avere molto di più. Non possiamo confondere l’area del Vicentino e del basso Veronese con l’area più ampia del Triveneto”.

Comunque, non per tutti, ma il nodo della redditività si pone.
“Per questo non dormo la notte. Portare la Denominazione del Pinot Grigio sugli scaffali con i numeri record è stata una operazione molto positiva: se dovevamo crescere in volume e in posizionamento sugli scaffali ci siamo riusciti. Questo però non è ancora diventato valore. Si tratta ora di creare strutture che ci consentano di competere a livello internazionale. Quella del Pinot Grigio non è la dimensione della Valpolicella o del Prosecco, denominazioni facilmente tutelabili; noi abbiamo competitor a livello globale. Per poter sostenere: “Siamo il Pinot Grigio delle Venezie mondiale” dovremmo avere le physique du rôle ma è difficilissimo. Dovremmo disporre di una struttura che il Consorzio non ha. Siamo appena nati”. 

E cosa avete fatto in questa prima fase?
“Abbiamo messo a punto tutto: sistema certificazione, controllo qualità, abbiamo aumentato le vendite ma non sono contento del valore che riusciamo a dare alla filiera intera”.

Alcuni produttori sostengono che in Consorzio si punti sul taglio delle rese.
“C’è una discussione in atto per ricondurre le rese del Pinot Grigio a una situazione reale. Il Pinot Grigio Igt fino a 3 anni fa poneva un tetto di 190 quintali/ettaro più 20%. Quantitativi elevatissimi. Con la Doc siamo scesi a 150 quintali con la pratica dello stoccaggio del 20%. Per l’anno prossimo si discute se fermarsi a 150 quintali. Non so se dal punto di vista normativo sia possibile lo stoccaggio e il blocco delle rivendite. Ne discuteremo. Personalmente però direi di puntare a una soglia massima di 150 quintali e stop”. 

Secondo Cantina Italia del Mipaaf le giacenze di Pinot Grigio sono scivolate da circa 2 milioni di ettolitri del dicembre 2018 a 1,56 milioni dello scorso dicembre. E' corretto?
“Cantina Italia è uno strumento fantastico, ma il dato contiene le giacenze del Pinot Grigio e quelle del bianco di tutte la Doc delle Venezie. Comprese le annate in carico. In più è in ritardo di 1 o 2 mesi. Diciamo che Cantina Italia è di difficile lettura. I buyer internazionali ritengono che il Pinot Grigio in Italia sia un prodotto infinito, ma non è vero. Per le giacenze consiglio di guardare i dati di Certificazione Triveneta, sono quelli attendibili”.

Peccato che il sito non fornisca dati e la trasparenza è pari a zero. A che punto è il coordinamento nella Denominazione interregionale del Pinot Grigio del Veneto?
“Ci siamo appena incontrati, per la seconda volta dopo quella del 2019. Dobbiamo abituarci alla collaborazione. Le singole denominazioni dovrebbero rilasciare i dati in trasparenza e capire quanto le singole Doc abbiano utilizzato Pinot Grigio e quanto sia il riclassificato delle Venezie. Dobbiamo essere sviluppatori di progetti e di comunicazione del numero totale e non di quello postoci all’inizio dell’anno. Che generalmente è un numero basso e che non tiene conto di ciò che avviene nei 19 territori del Nord Est. Alcuni vanno meglio e altri peggio”.

Quindi il progetto delle 19 zone ricondotte sotto l’ombrello della Denominazione è un sogno?
“No, sarebbe bellissimo. Quanto fatto fino a oggi è un esempio, ma dobbiamo andare avanti. Pensare che poi tutta l’Italia si metta d’accordo sul percorso fatto dal Nord Est la vedo difficile. Magari riuscissimo a fare un percorso comune. Questo porterebbe il nostro 85% di produzione nazionale a parlare con l’altro 15%, spesso gestito da Igt. Ma ciò implica che le altre regioni debbano rinunciare all’Igt per la Doc. Non so se si possa fare. Alcune regioni sono disposte a ragionare, per esempio, la Sicilia. Altre no. Ma andiamo avanti”.