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L'intervista

Etna Off 12/ Francesco Russo – Nero Vulcano: “Etna ha la sua quadra, il mercato lo dimostra”

26 Giugno 2023
Francesco Russo Francesco Russo

Assidui assaggi da degustatore, studio, e un agronomo cicerone per le contrade etnee hanno coltivato in Francesco Russo della cantina Nero Vulcano l’idea di produrre vino. Un “pied de cuve”, per dirla in termini enologici, uno starter che lo ha sollecitato nel 2017 ad abbandonare il lavoro in banca per cambiare totalmente stile di vita dedicandosi così alla viticoltura. Un produttore “Off” Francesco Russo non per la vigna in Contrada Cavaliere a Santa Maria di Licodia ai confini del perimetro della denominazione, sul vibrante quanto silente versante Sud Ovest del Vulcano, ma per la cantina, che per ragioni logistiche, trova luogo a Regalbuto, in provincia di Enna. Dopo avere acquistato la sua vigna, quasi un ettaro che rimette in ordine nel 2018, anno orribile che si ricorda per la devastante grandinata, iniziano le prime prove e i primi assaggi in bottiglia a partire dall’annata 2019 da una vigna promiscua dove prevalente è il Nerello Mascalese, molte delle quali a piede franco, Grenache, Carricante e Catarratto. I vini Nero Vulcano sono frutto del sentire del produttore: «In vigna e in cantina faccio tutto io, non sono un tecnico. Ci sono alle spalle anni di passione, lettura e libri che mi hanno permesso di mettere in campo il tutto. Lavoro con zolfo e rame, in cantina cerco di intervenire il meno possibile».

Gli assaggi, si diceva all’inizio, hanno concorso a formare un’idea non solo di Etna ma forgiato l’idea di vino in sé grazie all’incontro con esso: «Il perno che mi ha permesso il tutto è stato Giovanni Marletta, agronomo anche lui di Regalbuto con diverse esperienze sul territorio, e non meno importante il compianto Alberto Falcone. È stato Giovanni a portarmi in giro per l’Etna e quello che mi ha colpito di questo versante rispetto al Nord è stata la pace, un versante diverso e affascinante allo stesso tempo. Il Sud ovest merita, e merita tanto. Molti qui fanno vino per un consumo personale e hanno reso impossibile l’accesso a potenziali acquirenti su parcelle microscopiche. Si potrebbe fare di più, aspettiamo Gaja. Abbiano necessità di un input come il suo per andare avanti su questo versante. Penso che ognuno fa il vino rispetto a quello che ha in vigna, quello di Masseria Sette Porte mi colpisce sempre. Il vino di Piero Portale l’ho sempre amato perché l’ho sempre individuato nelle sue sfumature. Così come fra gli assaggi che ricordo posso citare Il Musmeci 2007 di Tenute di Fessina e Vigna Barbagalli 2010 di Pietradolce»

Annate non recenti sui rossi che rendono spontanea la domanda sull’idea di longevità dei rossi e dei bianchi nonché sulle uve presenti sul territorio e sulle caratteristiche dei vini dell’Etna. Ha questo territorio trovato una sua cifra stilistica? Secondo Francesco Russo sì: «Ogni bottiglia non è uguale all’altra, altrimenti sarebbe finita. Secondo me l’Etna ha la sua quadra, e il mercato lo dimostra. Spero che il consorzio Etna Doc mantenga alta l’asticella, continui a lavorare bene e che i vini dell’Etna non finiscano come il Nero d’Avola degli anni ’90. Ogni cantina ha un’impronta diversa. In base agli assaggi che ho fatto noto comunque una eccessiva standardizzazione del prodotto. Ora di aziende ce ne sono tante, alcune hanno un imprinting forte, riconoscibile, e distinguibile altre magari tendono ad avere delle caratteristiche molto simili fra di loro. L’Etna è sicuramente Nerello Mascalese e Cappuccio, Carricante, il Greanche è già una realtà. Su altre varietà è un bel dilemma. Ben vegano le novità, possono dare una spinta in più. C’è chi ha del Sangiovese, io ho fatto degli esperimenti con il Marsanne. Si può essere tante cose ma è giusto che ci sia l’autoctono in disciplinare».

Al rosso da Nerello Mascalese 2019 Parcella 446, attualmente disponibile, si affiancherà una produzione da Carricante che verrà rilasciata l’anno prossimo, meno di mille bottiglie: «L’annata viene rilasciata quando il tecnico di cantina pensa possa essere il momento giusto. Riguardo i rossi io penso che il prossimo anno uscirò con la 2021 prima che con la 2020. Metto in relazione l’annata e i processi di vinificazione. Mentre sul Nerello Mascalese e sulla sua longevità c’è da studiare, sul bianco preferirei non parlare, non ho molta esperienza su questo. Ma sicuramente di solito si è notato che i primi due anni risulta essere più citrico per poi esprimersi negli anni a seguire. Su questo c’è già consapevolezza» chiosa il produttore.

Assaggi come tasselli sempre più piccoli continuano ad allargare lo spettro del dibattito etneo al di la di quella che è la denominazione lasciando all’appassionato lettore e degustatore il sentire con il calice, l’esperienza che ne deriva piuttosto che l’autorevolezza dell’esperto. Nel caso dell’annata, giusto perché il protagonista di questo articolo ne ha fatto cenno, così come la vocazione per un territorio, per esempio, è rispettivamente utopia e invito se dovessimo fare nostre le parole dell’accademico e filosofo Nicola Perullo in Epistenologia: “Quando un gesto artistico si prende cura di corrispondere in piena vocazione e passione con la pianta e i suoi frutti, allora un vino “perfetto” si è già realizzato, e ogni “annata” è una disposizione che può essere colta come relazione perfetta, mancante di nulla”.