di Alessia Zuppelli
Quelli della vendemmia “sono i giorni più belli dell’anno” scriveva Cesare Pavese.
Iniziata già in diverse regioni d’Italia, dalla Franciacorta alla zona occidentale della Sicilia, le prime giornate di raccolta registrano previsioni e ipotesi sull’andamento e sulla valutazione di una possibile buona o addirittura ottima annata. Valutando il variegato mosaico del territorio italiano, i diversi vitigni, e il diverso clima e microclima all’interno di ogni singola zona di interesse, e non meno importante l’impatto del cambiamento climatico si è chiesto all’enologo toscano Emiliano Falsini, consulente per diverse realtà del Belpaese, a cosa sia legata l’effettiva anticipazione della vendemmia e se le relative previsioni rispondano a un’effettiva necessità.
Da Nord a Sud, si parla ogni anno di vendemmia in anticipo. Quanta verità in questo genere di affermazioni?
“Sicuramente c’è una parte di verità perché comunque l’andamento climatico è sempre più violento per l’effetto della siccità e delle alte temperature. Qualche anticipo è ormai inevitabile. Alcuni episodi non sono direttamente proporzionali alla violenza di questi ultimi eventi, perché paradossalmente poi le piante in condizioni di stress riescono a portare le uve in condizione di maturazione in anticipo. Poi certo, in situazioni di particolare stress pur di non perdere il raccolto si anticipa. Però secondo me non c’è una diretta correlazione in maniera proporzionale. Questa è la mia sensazione”.
Quando, esattamente, si può parlare di ottima o cattiva annata? È prematuro?
“Sicuramente sì, è prematuro. Dipende dalle zone e dalla verità. Solitamente le annate calde sono considerate buone perché hai meno problemi sanitari, è ovvio. Da qui a dire che sono grandi annate o che sarà un’ottima annata ce ne corre. Se intendiamo un’ottima annata quella incentrata sulla finezza allora in questo caso posso dire che ce ne sono sempre meno”.
A proposito di annate quali etichette non possono mancare in una cantina che si rispetti?
“Personalmente sull’Etna amo molto le annate fresche, come la 2013 la 2018 e la 2020. Queste sono annate considerate difficili dal punto di vista climatico dove il viticoltore ha dovuto fare una particolare selezione. Le trovo eleganti. La 2019 è stata invece una grande annata in generale un po’ ovunque. La 2020 è stata più o meno buona a macchia di leopardo. Anche sul discorso annata dipende dalla zona. Ad esempio la settimana scorsa a Montalcino ha piovuto, e questo potrebbe essere interessante, specie rispetto ad altre zone della Toscana dove non ha piovuto. Se dovesse continuare così si farà più fatica”.
Da Messina al Sud della Sicilia quale esperienza riporta?
“In questi giorni sono stato a Lipari e ho trovato i vigneti di Tenuta di Castellaro in ottima forma. Qui si è più attrezzati a questo genere di condizione climatica. La situazione in generale l’ho trovata buona, migliore rispetto al Centro Nord che ha sofferto di più. Ci sono zone in Toscana che non vedono pioggia da mesi”.
Non siamo neanche a ferragosto. Si possono già tracciare bilanci a oggi, specie nel territorio etneo considerato ormai una sorta di meta isola?
“In zone meridionali della Sicilia possiamo avere un quadro più veritiero rispetto al Vulcano. Sul Grillo e sui vitigni internazionali si avvicina il momento in cui si possono tirare le fila. Sull’Etna si può solo intuire, come a Lipari. Se l’andamento climatico rimane regolare possiamo dire che questa si presta a essere una buona annata, ma fin quando non si porta l’uva in cantina non si può dire. Dipende anche da chi fa viticoltura. Spesso, infatti, si da per scontato che l’intervento dell’uomo non è importante, invece fa la differenza, come l’intera gestione del vigneto. Anche sull’Etna, a proposito, chi farà delle scelte, dal diradamento alla gestione della chioma, porterà in bottiglia a risultati diversi. Il cambiamento climatico c’è e si sente, ho fatto di recente una verticale in Toscana dove le differenze di gradazione alcolica si sono avvertite. Però poi nei limiti del possibile l’uomo deve attenuare questi cambiamenti. Non è facile. L’agricoltura è fatta dall’uomo, non è naturale. Di naturale c’è il rispetto massimo dell’ambiente ma è impensabile che si pianti una barbatella e venga fuori un’uva perfetta da sola”.