di Alessia Zuppelli
Non più semplice visita e degustazione, ma esperienza totale e nel solco dell’identità territoriale.
Da qui dovrebbero ripartire le cantine italiane in un anno in cui sembrano riaccendersi i riflettori sull’enoturismo, uno dei settori di maggiore impatto e interesse nel nostro Paese, secondo Donatella Cinelli Colombini, presidente de Le Donne del Vino, nota personalità di spicco nel settore nonché produttrice nel territorio toscano di Montalcino. Un comparto che non riguarda la mera visita in cantina, ma abbraccia anche il settore ricettivo oltre che quello meramente gastronomico e vitivinicolo. Una domanda, quella del winelover, che si è evoluta nel corso degli anni. Così come è cambiato il profilo “tipo” del fruitore da quasi trent’anni a questa parte, periodo in cui nasce quasi per caso l’idea di Cantine Aperte, l’imperdibile appuntamento nazionale che giunge nel prossimo mese di maggio alla sua 30° edizione. Una trama di eventi che vede come canale di comunicazione privilegiato il passaparola, seppur con le dovute declinazioni (digitali e non), come racconta la produttrice toscana ricordando il barlume dal quale scaturì la prima iniziativa nello stupore generale delle stesse cantine coinvolte e dei media: “L’azienda della mia famiglia aveva un’associazione che mi chiese di fare qualcosa per far sì che le attività vitivinicole fossero più visibili. Io nel 1991 avevo sottoposto ai visitatori delle loro cantine un questionario. Ne raccogliemmo un po’ e venne fuori un personaggio diverso da quello che mi aspettavo: non clienti che cercavano vini sfusi e a buon mercato, ma fruitori che amavano il vino e volevano scoprirlo. Successivamente a seguito del confronto con Madga Antonioli, docente di marketing turistico all’Università Bocconi di Milano, si è tracciata la figura del winelover. Su questa figura gli strumenti di comunicazione tradizionali non avevano avuto influenza. L’unica cosa efficace era stato il passaparola umano. Mi chiesi come fare, dunque, in un periodo in cui solo 25 cantine erano aperte al pubblico. Pensai allora a un evento e riunendo cento cantine toscane. Nel frattempo al Vinitaly facemmo il primo atto costitutivo del Movimento turismo del vino nel 1993 e domenica 9 maggio facemmo la prima edizione di Cantine Aperte. I produttori mi dissero di sì amichevolmente, ma non ci credeva nessuno”.
Oggi le “Cantine Aperte” sono circa trentamila e quelle organizzate circa diecimila, di cui una buona parte è anche online. Dal passaparola de visu si è passati al passaparola virtuale e crescente è l’attenzione da parte di giovani e donne sempre più emotivamente coinvolti nel rispetto della natura, del buon cibo, e desiderosi di scoprire quale storia si celi dietro ad un calice di vino. In particolare, nota Donatella Cinelli Colombini, le donne rappresentano l’anello di quella catena che trasforma il vino in business, e anche se ancora dai primi sondaggi mantengono un ruolo minoritario sia in vigna che in cantina, sono invece protagoniste in settori come quelli del marketing e dell’area commerciale oltre che dell’accoglienza e dell’ospitalità enoturistica. La strada seppur lunga è tracciata: “Io sono convinta che tutto cambierà, anche il modo di concepire la famiglia, e le donne con il loro contributo potranno migliorare il settore dell’ospitalità”. Dall’altra parte, in virtù dei diversi sbocchi professionali che derivano dalle attività vitivinicole l’Associazione nazionale “Le donne del vino”, sono stati già avviati dei progetti di insegnamento del vino a scuola, in via sperimentale in Sicilia, Piemonte, ed Emilia Romagna: “Il lavoro nelle cantine è cambiato, non è più tanto un lavoro di fatica. Lavorare in cantina oggi significa avere a che fare con la tecnologia al servizio della natura, viaggiare, e creare contatti e relazioni. Tutto questo cambiamento è cavalcato dai giovani”.
Non solo vigne e botti, ma anche tanta storia e cultura, tradizioni, fra mito e civiltà. Tutto questo ha reso l’Italia fin dai tempi dei greci “Enotria”. Proprio per la sua ricchezza anche in termini di specifiche identità Cinelli Colombini nota come spesso l’esperienza nelle cantine italiane è troppo simile, e suggerisce di focalizzarsi su tutto ciò che riguarda il proprio territorio, dal cibo ai materiali stessi di utilizzo per l’architettura delle proprie cantine, indicando di andare alle radici attraverso “materiale del luogo, artigiani del luogo, stile del luogo. Ma questo dobbiamo farlo tutti altrimenti tutte le cantine sono uguali”, dicee. Fra gli esempi più brillanti in tal senso, la produttrice ricorda la cantina Florio di Marsala in provincia di Trapani e il Castello di Brolio in provincia di Siena e l’impatto “vero e forte” delle auto da collezione di Marco De Bartoli nell’omonima azienda, così come l’installazione luminosa nella tenuta etnea di Planeta che celebra Majorana grazie ai versi di Leonardo Sciascia “si divertiva a versar per terra e disperdere l’acqua della scienza sotto gli occhi di coloro che ne erano assetati”, dove la luce diventa metafora, prosegue Cinelli Colombini: “Una impronta forte che ti fa riflettere quella del genio che decide il suicidio. Mi ha fatto pensare a Galileo. Quell’installazione fa capire che il vino e la civiltà di quella terra non è solo uva. Non solo attrezzature in cantina, ma deve esserci un tutt’uno con gli uomini che hanno formato quel territorio. Questo è bellissimo”. Accoglienza, quindi, sì ma con maggiore consapevolezza. Un’esperienza trainata da grande professionalità e conoscenza dei propri territori. Un racconto incentrato non tanto su come viene prodotto il vino, piuttosto da dove viene e soprattutto da quali radici storico-culturali proviene.