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L'intervista

Dino Taschetta: “Il vino siciliano è a un bivio. Più coraggio e visione o il futuro sarà nero”

26 Dicembre 2019
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Lunga intervista con il presidente della cantina sociale Colomba Bianca. “Dobbiamo dare valore e puntare tutto sull’alta qualità per restare competitivi. E da noi purtroppo buono non coincide sempre con bello”. L’idea sul Grillo per valorizzarlo, la sentenza del Tar Lazio su Igt e il futuro dell’Irvos i temi affrontati


(Dino Taschetta)

di Fabrizio Carrera

Come sta il vino siciliano? Com’è andata la vendemmia 2019?

“Oggi non si può più parlare di vino siciliano in modo generico, esistono aree e tipologie di prodotti che stanno andando bene e territori e vini che vanno male. I risultati sono sempre la somma delle decisioni che abbiamo preso nella nostra vita. Chi ha operato con lungimiranza in una prospettiva di crescita del mercato, sta certamente meglio di chi continua a fare gli stessi vini di trent’anni fa che nessuno oggi vuole più”.

Dino Taschetta, presidente della cantina Colomba Bianca con sede operativa tra Salemi e Mazara del Vallo, in provincia di Trapani non è uno che le manda a dire. Incontrarlo vuol dire ascoltare analisi e prospettive lucide e mai scontate. Ecco il resto della lunga chiacchierata. 

“Il grande problema – attacca ancora Taschetta – è che il sistema del vino italiano è malato. Le produzioni siciliane 2018 sono nella media degli ultimi 10 anni come in Toscana e Piemonte. Ma loro, generano il triplo o il quadruplo del valore e noi invece ci diluiamo nella rimanente parte del vino malato italiano”.

E quindi?
“Le strade sono due: o si gestisce il sistema vino sotto il profilo produttivo a livello nazionale, con strumenti dinamici e applicabili, o la Sicilia deve percorrere una strada diversa, perché non può competere con altre regioni, né sulle quantità, né sui prezzi. Pertanto, rimane una sola soluzione: valore e alta qualità, altrimenti, non sarà più una guerra tra poveri, ma una guerra tra morti. Se non si cambia rotta, il 2020 non sarà meglio del 2019, perché le produzioni sono state minori e la redditività media ad ettaro rischia di diventare insostenibile”.

Il mondo del vino siciliano comprenderà questo ragionamento?
“Voglio raccogliere e rilanciare una sfida, che spesso mi propone il nostro consulente Mattia Filippi, il quale venendo dal Trentino, ma essendosi innamorato della Sicilia, riesce a vedere cose che magari per noi, che abbiamo sempre vissuto qua, facciamo fatica a percepire. Sarebbe ora di cancellare, tutta una serie di retaggi gattopardiani che continuano a limitarci”.

Facciamo un esempio?
“Voglio iniziare dal concetto di “bello” che per troppo tempo nel linguaggio comune – e il linguaggio comune è la cultura di un popolo – abbiamo definito “bello”, ciò che riteniamo comunemente “buono”. Noi abbiamo un sistema viticolo-enologico generale, che è buono. Non è bello. Il buono è buono e il bello è bello. Chiaro?”.

Ed allora dove sta l’inghippo?
“Il successo di alcune zone viticole del mondo è passato soprattutto da questo concetto: Napa Valley, Bordeaux, Alto Adige, la Nuova Zelanda, Etna per citarne alcune. Quando inizieremo a fare e a far vedere cose sia belle che buone il sistema vino sarà più sano, più attraente e più redditizio. Non si può pensare di fare turismo, generare valore e attrarre investimenti, se siamo circondati da degrado, abbandono e inefficienza. Altrimenti, il buono che abbiamo, oltre a non essere bello, sarà anche sempre meno buono. Il mondo è pieno di investitori che, se solo riuscissimo a rassicurarli che la Sicilia non è solo mafia, degrado e mala politica, verrebbero volentieri ad investire sul nostro territorio, generando lavoro e ricchezza diffusa. Invece continuano a venire magari per comprarsi i diritti di reimpianto e trasferirli altrove lasciando deserto e povertà”.

L’analisi è spietata. E come avere fiducia nel futuro nel gestire un colosso come Colomba Bianca?
“Colomba Bianca viene da un trend positivo di risultati, legati alle scelte del passato e agli investimenti fatti negli scorsi anni. Stiamo solo iniziando a raccogliere una parte, di ciò che abbiamo seminato. La riconoscibilità e l’affidabilità nel mondo, del Bulk Wine a livello globale è cresciuta grazie alla presa di coscienza del grande patrimonio territoriale, custodito dai nostri soci. I premi avuti alla fiera di Amsterdam (due medaglie d’oro e due d’argento, ndr), sono solo gli ultimi di una lunga serie di riconoscimenti che Colomba Bianca continua ad avere in giro per il mondo”.

Le bottiglie prodotte sono una buona cartina di tornasole. A che punto siamo?
“Per quanto riguarda la produzione di bottiglie abbiamo fatto una scelta consapevole, difficile ma ortodossa, di posizionamento slegato dai grandi numeri e dal prezzo basso. Abbiamo dedicato risorse per iniziare ad essere protagonisti nel mondo Horeca e stiamo iniziando dei progetti nella gdo con posizionamenti di valore e prestigio. I progetti in cantiere sono tanti, ma tutti legati dalle stesse parole chiave: sostenibilità, valore, etica e crescita. Stiamo concentrando gli investimenti, su un segmento di successo che è quello delle bollicine, un mercato che sommando solo le bottiglie di prosecco, cava e champagne, vale oltre un miliardo di bottiglie. La speranza è quella che in Sicilia, maturi la consapevolezza che oggi più che mai, bisogna iniziare a lavorare sulla creazione di un brand altrettanto forte. Lo Spumante del Mediterraneo, così come lo chiama il nostro direttore commerciale Giuseppe Gambino, oggi non fa fuochi d’artificio, ma ha tutte le caratteristiche sia per ricavarsi una quota di mercato importante nel comparto dello sparkling wine, ma anche per dare una speranza ai nostri produttori, che oggi sono ripiombati in uno stato di crisi davvero difficile”.

Non è una idea troppo ambiziosa?
“Senza apparire esagerati abbiamo caratteristiche territoriali che non hanno nulla da invidiare ai territori di Reims e le colline di Valdobbiadene; Vita e Salemi in provincia di Trapani sono culla ideale per la produzione delle basi spumante, grazie alle caratteristiche dei terreni gessosi, esposizione ideale delle colline, fresche temperature…Non manca nulla, bisogna solo crederci e crederci tutti”.

Hai lanciato l’idea della ormai necessaria fascetta per le bottiglie a marchio Doc Sicilia. Che il consorzio farà partire nei prossimi mesi. Adesso di cosa ha bisogno adesso la Doc Sicilia?
“Il consorzio è formato dalle migliori menti che il nostro territorio riesce ad esprimere, è egregiamente condotto da Antonio Rallo, il quale ha certamente la giusta visione per far crescere la Doc Sicilia in modo corretto. È chiaro che mettere insieme così tante aziende spesso con interessi diversi, può risultare difficile, quindi va un plauso a tutto il cda per esserci riuscito. Detto ciò, sono convinto che il consorzio, deve intraprendere percorsi che indichino chiaramente dove vogliamo portare il mondo del vino siciliano, dovrà essere l’attore principale per progettare lo sviluppo dei prossimi vent’anni. Sarà costretto a prendere decisioni impopolari, decisioni che nel breve, possono risultare dolorose, ma che nel lungo termine, potranno creare quel valore aggiunto, di cui abbiamo tanto bisogno per mantenere un patrimonio viticolo, altrimenti destinato ad affievolirsi drasticamente. Quando si vuole valorizzare un prodotto, le leve da utilizzare sono sempre le stesse: qualità, quantità e qualità percepita. Siamo stati bravi a lavorare sul Nero d’Avola, sono sicuro che con l’introduzione della fascetta riusciremo a fare ancora meglio. Proviamo a ripetere la stessa esperienza con il Grillo, facciamolo sempre più buono, ma se vogliamo valorizzarlo davvero, è necessario intervenire con decisione, per equilibrare l’offerta con la domanda. L’unico modo per farlo nel breve periodo è quello di lasciare le rese attuali ma dimezzare la quantità rivendicabile come Doc e bloccare per almeno tre anni, l’ingresso di nuovi terreni. A questo, bisogna aggiungere una forte azione di marketing, in modo da alzare l’asticella della percezione di qualità del Grillo e di conseguenza la domanda. Mi rendo conto che una scelta di questo tipo, potrà creare qualche problema ad alcuni produttori, ma mantenere la situazione attuale serve solo a sminuire il valore del Grillo a svantaggio di tutti. La scelta che ha fatto il consorzio, di abbassare solo a 110 quintali ad ettaro la quantità di Grillo rivendicabile come Doc, a mio parere non servirà a niente, perché la gran parte del Grillo continuerà ad essere venduto a prezzi troppo bassi. Dobbiamo a tutti i costi fare squadra, con la consapevolezza che rinunciare a parte della nostra autonomia per creare un futuro migliore, sia vantaggioso per tutti”.

Ora la sentenza del Tar Lazio su Grillo e Nero d’Avola rischia di far saltare tutto però. Non credi?
“È chiaro che alla luce della sentenza del Tar del Lazio, che seppure soggetta a ricorso, ha accolto il ricorso della Duca di Salaparuta che permetterà di imbottigliare Grillo e Nero d’Avola a Igt indicandolo in etichetta, tutto diventa più difficile. Questa sentenza mette a rischio tutto il sistema delle Doc italiane, creando un precedente a dir poco discutibile. Io non entro nel merito della decisione, le sentenze non si discutono, al limite se si può si appellano. Onestamente, non credo sia giusto che decisioni che riguardano un territorio così ampio, che dovrebbero essere di competenza della politica, vengano, su iniziativa di una piccolissima minoranza della produzione, lasciate nelle mani della magistratura”.

È giusto secondo te puntare tutti gli sforzi promozionali o buona parte di essi sul mercato Usa? Ti preoccupano le guerre commerciali innescate da Trump con i dazi?
“È giusto puntare su tutti i mercati che possono rappresentare uno sbocco importante ai nostri vini e gli Usa, nonostante Trump, rappresentano ancora il mercato più importante al mondo. È certamente giusto investire in promozione, ma vorrei che venissero impostati dei meccanismi attraverso i quali, si assicuri una migliore ripartizione della ricchezza su tutta la filiera. È chiaro, che preoccupa la volatilità dei mercati e le guerre commerciali, nel lungo termine portano svantaggi per tutti. Preoccupa la Brexit, il mercato inglese è troppo importante per il vino italiano e non ci fa bene nemmeno la tensione con la Russia. Tutto ciò, deve farci riflette sull’importanza della ricerca di nuovi mercati e in questo, la politica deve giocare un ruolo importante, mettendo a disposizione le strutture e tutti i servizi di assistenza alle imprese, nei vari Paesi del mondo”.

La politica siciliana, croce e delizia. Ti sembra che oggi il mondo del vino siciliano trovi un adeguato livello di interlocuzione con i rappresentanti delle istituzioni?
“Ho visto delle aperture, da parte dell’assessore all’agricoltura a discutere; aspettiamo con ansia i fatti. Siamo consapevoli che non è facile fare i miracoli, ma fare le cose “normali” non penso sia così difficile. La politica, dovrebbe dare le linee guida, concordare un progetto di sviluppo di lungo termine ed essere da stimolo e da supporto alle imprese. In questo momento, onestamente, il mondo produttivo non pensa sia così. La pubblica amministrazione e la politica, spesso si subiscono e vengono percepiti come qualcosa da cui difendersi. I bandi ad esempio, dovrebbero essere chiari e veloci, basterebbero poche regole, senza lasciare troppo spazio alle interpretazioni. Credo, sarebbe sufficiente, inserire la semplice frase: “è finanziabile tutto ciò che non è espressamente vietato”; si eviterebbe un’enorme quantità di ricorsi e il serio rischio di perdere tanti fondi dell’Ocm”.

Ti preoccupa il futuro dell’Irvos? Pensi che si riuscirà a difendere la certificazione dopo l’aut aut del ministero?
“Avere un ente del territorio come l’Irvos, che si occupi della certificazione, credo sia importante. Non possiamo pensare, che trasferire i processi decisionali altrove, possa contribuire a farci stare meglio. Sarò anche provinciale, ma non ho mai visto di buon occhio, la vendita delle nostre aziende, delle banche e quant’altro ci ha fatto perdere potere decisionale. Purtroppo, l’esperienza mi dice che c’è sempre qualcuno che decide, e se non siamo noi, ci sarà qualcuno che lo farà, con il serio rischio di andare a finire nei progetti di altri. Questo non vuol dire difendere tout court l’istituto, perché è certamente un ente che non può pensare di sopravvivere solo con la certificazione, ma dovrebbe occuparsi di importanti progetti di ricerca, potrebbe provare a mettere insieme le piccole aziende per fare sistema, attingere ai fondi per la promozione per portarle in giro nel mondo, essere un buon tramite con la politica per aiutare a progettare il futuro del nostro vino. Ci sono tante cose che potrebbe fare, ma è chiaro che serve un segnale forte da parte della politica, a iniziare dalla scelta della sua governance”.