Intervista con l'appena rieletto presidente della cooperativa trapanese. Che parla a 360 gradi del mondo del vino, dall'Etna alla Settesoli. E al consorzio della più importante denominazione dell'Isola: “Deve fare scelte coraggiose”
(Dino Taschetta)
di Giorgio Vaiana
Dino Taschetta è stato confermato presidente della cooperativa vitivinicolo Colomba Bianca di Mazara del Vallo in provincia di Trapani.
Taschetta, presidente da quasi 23 anni, per altri tre anni avrà il compito di gestire quasi 2.500 soci, un vigneto di 7.500 ettari (2.000 in biologico) diviso in 43 comuni, 5 cantine con un centro direzionale, 2 milioni di bottiglie e un fatturato che nel 2017 ha fatto registrare la somma di 43,5 milioni di euro (+ 30 per cento rispetto al 2016). Con Taschetta si parla a 360 gradi, del mercato inflazionato dall'eccesso della produzione di vini da parte di Veneto ed Emilia Romagna “che ha creato un bel po' di problemi”, una Sicilia che sta soffrendo un pochino “perché dobbiamo metterci in testa che ne usciamo fuori solo facendo vini di un certo tipo” e un mercato di bianchi “completamente distrutto dalle altre regioni d'Italia che vendono i vini a prezzi ridicoli”. Poche, ma chiare le idee di rilancio: territorio, una Doc Sicilia che funzioni, fare rete e sistema, qualità: “Sono convinto che per i prossimi 20 anni non avremmo alcuna difficoltà”.
Presidente, intanto congratulazioni. Cosa significa essere alla guida di una
cantina con numeri così imponenti per tanto tempo?
“Vuol dire avere un grosso peso sulle spalle, parlo di responsabilità che a volte sembra quasi insopportabile. Ma c'è anche la consapevolezza che dietro ci sono 2.500 famiglie pronte a darti una mano, con un sistema di alleanze e rapporti che deve continuare, perché abbiamo capito che è bello lavorare insieme”.
Oggi si parla sempre di più di cooperative, ma quali sono le prospettive per le cantine sociali in sicilia?
“Dobbiamo solo avere la consapevolezza che il mondo del vino, nel nostro settore, è cambiato. Se le cantine sociali capiranno questo, il loro futuro è già tracciato. Altrimenti sarà la fine. Non potranno vendere mosti e vini che non vorrà più nessuno. Tutto dipenderà dalla scelta che faranno i soci. In alcuni momenti si è fatto l'errore di mettere in mano la quasi totalità della produzione del vino alle grosse cooperative. Credo che sia giusto un perfetto equilibrio anche con i privati che possono rappresentare la punta di diamante di un sistema vincente”.
Come è cambiato il vino siciliano in questi anni?
“Il vino siciliano ha fatto notevoli passi in avanti. Credo che in giro ci siano tanti bravissimi produttori che hanno dimostrato e stanno dimostrando che qui siamo in grado di fare grandissimi vini. Soprattutto negli ultimi dieci anni, questa evidenza si tocca davvero con mano, la qualità è migliorata in maniera esponenziale. Ma ci sono ancora ampi margini di miglioramento. La strada è ormai tracciata”.
Dicono che la vendemmia 2018 è stata tra le peggiori che si ricordi per quantità. È così per voi?
“Noi siamo riusciti a fare una vendemmia normale. Ci sono state alcuni territori che hanno subito gravi danni per la pioggia, altre zone, invece, dove abbiamo aumentato la quantità di uva raccolta. Hanno sofferto le zone dei rossi, penso a Salaparuta, Poggioreale, Partanna, dove ha piovuto tanto e i terreni freschi hanno compromesso il raccolto a causa del marciume e della peronospora. Qualitativamente, però, sono uscite fuori delle belle cose. Non è stata certo la migliore vendemmia che ci ricordiamo, ma abbiamo vinificato solo le uve di altissima qualità”.
Quali prospettive per il vino siciliano?
“Per chi intraprenderà determinate strade, parlo di qualità, vedo un futuro roseo. E più saranno le aziende che sceglieranno di fare qualità, più la Sicilia potrà giocarsela bene in giro per il mondo. Ma chi pensa ancora di fare i vini come 30 anni fa, non ha futuro. È un mondo finito”.
Come tutelare la Doc Sicilia da furbetti e truffatori? Il lavoro del consorzio risponde alle aspettative?
“Le fascette sono l'unica soluzione, a mio modesto parere. Credo che la Doc Sicilia, poi, debba prendere decisioni impopolari, ma necessarie. Ci vuole coraggio. Sulle fascette, certo, è una grande rottura di scatole, ma eliminano i rischi delle truffe. Si possono falsificare, è vero, ma poi lì si parla di altri reati. E non so a chi convenga rischiare. Poi bisognerebbe imparare a gestire la quantità del vino siciliano. La battaglia sul Grillo, che ho perso, insegna tante cose. È stata ridotta la quantità da 140 quintali per ettaro a 110 quintali per ettaro. Un calo minimo, che forse non modificherà il prezzo di vendita. Io chiedevo rese più basse, anche 70 quintali per ettaro. È inconcepibile immettere sul mercato bottiglie di Grillo da vendere a prezzi irrisori. Meglio non farne. Capisco che il consorzio debba mediare tra la varie posizioni, parlo soprattutto della questione rese, ma così ci perde il territorio. Il Nero d'Avola, invece, sta funzionando, ma perché è un vino che ha un mercato diverso. Io lo ribadisco: si faccia qualità e non quantità”.
Tutti pazzi per l'Etna. Colomba Bianca è tentata di scommetterci su?
“Non nascondo che abbiamo valutato anche noi questa scelta, e dico anche che mi piacerebbe. Ma prima di correre dobbiamo imparare a camminare bene. Siamo radicati e concentrati su questo territorio, L'Etna per ora non è nei nostri programmi. In futuro chissà”.
Settesoli in dieci mesi ha fatto fuori il presidente e lo storico direttore. Siete preoccupati per queste turbolenze?
“Sono cose che al mondo delle cooperative non fanno bene. Noi abbiamo preso sempre Settesoli come un modello ed episodi come questo creano, non lo nascondo, una certa preoccupazione. Ma Settesoli è un'azienda troppo importante per il territorio e la Sicilia. Mi auguro che presto trovino un riassetto e diano tranquillità ai loro soci. Nessun siciliano può avere piacere che le cose da Settesoli vadano male”.