Lo becchiamo a Boston tra un aereo e un altro, tra un importatore e un cliente.
E’ tra i produttori di vino più globetrotter del pianeta. Con lui parliamo di questo 2012 che è partito pieno di incognite. Diego Cusumano, che col fratello Alberto, è uno dei nomi che più fa girare la Sicilia da bere nel mondo, traccia uno scenario.
Come sarà questo 2012?
“Troppo presto per dare una risposta chiara, qui negli Stati Uniti l’atmosfera mi è sembrata buona, ristoranti pieni e hotel pieni. Credo che assisteremo ad un periodo di attesa legata alle notizie macroeconomiche italiane ed europee. Ma non credo che la situazione reale sarà così negativa come dalle aspettative che in questo momento si stanno creando sul mercato”.
C’è qualche spiraglio di ottimismo?
“Secondo me sì”.
La crisi come sta cambiando le filosofie aziendali?
“Posso parlare per la mia azienda. Abbiamo messo in atto un piano d’attacco con i nostri importatori ed agenti investendo nella distubuzione e sulla comunicazione. L’obiettivo è mantenere le quote di mercato”.
Come sta cambiando l’approccio al vino? Sia in Italia che all’estero?
”Qualità, brand e prezzo sono le tre cose che il mercato richiede. Lo richiedeva prima e lo richiede adesso e continuerà a richiederlo. Oggi assistiamo ad una richiesta che viene influenzata dalla variabile prezzo ma bisogna resistere per evitare che il brand possa subire danni irreparabili”.
Continua l’attenzione verso i vini di fascia bassa? O la fascia media segna qualche passo di recupero?
“I nostri dati ci dicono che vini come l’Angimbè ed il Benuara mantengono bene il volume sul mercato. Prezzo medio senza brand non funziona, prezzo alto senza brand non funziona. La chiave per mantenere il prezzo è il valore del brand sul mercato”.
E’ vera la spinta verso la regionalizzazione dei consumi? E se è così come si manifesta?
“Questo è un problema Italiano. Nel caso di vini siciliani il fenomeno è più marcato perché abbiamo assistito ad un effetto moda in passato che ha superato i limiti regionali. Ma questo si è verificato con un prezzo notevolmente inferiore ai prezzi dei vini delle regioni classiche. Oggi i loro prezzi sono uguali o più bassi dei nostri e questo influenza la regionalizzazione. Ma spesso siamo anche noi che ci muoviamo in modo da limitare la distrubuzione a casa nostra”.
Il ruolo della Gdo in Italia è destinato a crescere ancora?
“Sì, decisamente”.
Con la Doc Sicilia quali aspettative?
“Se è chiara sul mercato sarà una leva per aumentare i consumi di vini siciliani. Se non riusciremo ad essere chiari sul mercato cambia la forma ma il risultato non cambia. Bisogna unire forma con sostanza: un consumatore di Milano che compra un vino che prima era Igt e oggi diventa Doc cosa dovrà trovare di diverso rispetto a prima e rispetto ad un vino Igt Terre Siciliane? Se non riusciremo a fare sistema la Doc muore dopo un giorno viceversa sarà un ottima opportunitànella valorizzazione del territorio”.
La carenza di uva ha aiutato alla fine le aziende dai grandi numeri o no?
“Il vino non manca”.
All’estero chi è il vero competitor della Sicilia? L’Australia – dicono – è in panne…
“Il nostro vero competitor siamo noi stessi. Ci siamo cullati sul brand Sicilia senza costruire i singoli brand sul mercato e questo oggi si paga”.
F.C.