di Alessandra Meldolesi
La pandemia non ha fermato il Gastronauta Davide Paolini, storica firma del Sole 24 ore, prossimo alla pubblicazione del suo nuovo libro, “Confesso che ho mangiato”.
Da sempre critico verso Michelin, quest’anno le riconosce perfino un difetto in più. “Nel senso che è ruffiana. Rispetto al passato, sceglie luoghi territoriali per comunicare che rispetta quel tipo di cucina; avendo comprato The Fork, si propone come un puntello attraverso operazioni esterne. E di fatto controlla il mercato con le prenotazioni, che però configurano anche un conflitto di interessi nell’orientare i consumi, di cui nessuno sentiva il bisogno. Appena ieri era arcigna e intoccabile, oggi è scesa sulla terra, quasi a voler sembrare simpatica ed empatica. Forse dopo tanti disastri vuole redimersi cambiando atteggiamento”.
Ti capita spesso di non essere d’accordo con i suoi giudizi?
“Abbastanza, soprattutto su ristoranti che non vengono presi in considerazione, su valutazioni molto basse o al contrario su locali premiatissimi. Ma ognuno ha il suo metro, che non può essere giudicato. In passato non hanno mai scoperto nessuno e occorreva tantissimo tempo per entrare. Ma alla fine, dovendo scegliere fra tutte le guide, avrei comunque privilegiato Michelin, che ha sempre avuto una sua deontologia. E su questo chapeau, perché è tutta gente che lavora da mattina a sera, in anonimo. Potevo dissentire solo sul giudizio finale”.
Vuoi farci qualche nome?
“Per esempio di recente ho riprovato l’Osteria della Brughiera e devo dire che per me vale più di una stella. Poi ne darei una seconda a Romano e una terza a Cuttaia. Ma di fatto le guide non contano più niente. Nessuna. L’unico orientamento che riconosco è il tamtam dei consumatori, non vedo altro modo. La sola bussola è l’orecchio. Anche perché secondo me siamo in presenza di un fenomeno nuovo, che paragonerei al crollo del muro di Berlino. Nel 1989 abbiamo assistito alla fine delle ideologie, ma qualcosa di simile sta accadendo in gastronomia, dove mancano i punti di riferimento. Siamo in presenza di una cucina liquida, dove ognuno va per conto proprio, quindi la critica non ha criteri o paradigmi, le guide non hanno più ragione d’essere”.
Questo crepuscolo delle guide lascia un vuoto?
“Forse svolgevano una minima funzione, ma ripensando alla guida delle guide, che qualcuno faceva negli anni passati, incrociando i giudizi al primo posto risultava sempre qualcuno, che non era primo per nessuno. E questo già faceva riflettere”.
I social potrebbero prendere il posto delle guide?
“Purtroppo sì, ma in un certo senso restano troppo democratici, perché permettono a chiunque di giudicare, orizzontalmente. Non è che se entrando non sei stato salutato, puoi scrivere che hai mangiato male. Per non parlare dei giudizi falsi, per vendetta o per competizione. Quindi anche questi canali hanno grossi problemi”.
Tornando a Michelin, il grande chef Gaggan Anand l’ha accusata di razzismo perché non ha ispettori indiani. Ma i francesi, attacca, accetterebbero di venire giudicati da critici indiani, privi dei riferimenti per comprendere e valutare?
“Sono totalmente d’accordo. Quando mi siedo in un ristorante etnico, sento spesso di non avere la cultura necessaria per formulare un giudizio. Oggi che la cucina è globale, il problema esiste eccome”.
Seguirai la presentazione del 23?
“Sono molto curioso di scoprire questa edizione, quali saranno i declassamenti e le promozioni. Veniamo da due anni di pandemia, durante i quali molti sono rimasti chiusi a lungo. Personalmente ritengo che non sia corretto in questo momento formulare giudizi, avrei aspettato almeno un anno per qualche accenno di normalità. Anche perché nella ristorazione tutti lamentano di non trovare personale in sala e in cucina e non vorrei che questo si riflettesse sui punteggi”.
Secondo te la cucina è cambiata?
“Sicuramente sì, soprattutto nell’atteggiamento, nel senso che una certa ristorazione è scesa dal piedistallo e anche i “grandi” sono più disponibili. Invece non vedo molta ricerca sui piatti e sui menu. Mi sembra che un po’ tutti continuino sulla loro strada. Sta di fatto che nelle grandi città a un certo livello nel fine settimana è impossibile trovare un coperto libero. Significa che il vento soffia forte. Un nuovo rinascimento che mi entusiasma”.