Il responsabile marketing di Corvo, Duca di Salaparuta e Florio: il vino sia contemporaneo. Grande stimolo dall’Etna. E sull’enoturismo lavoriamo sui visitatori di qualità, alziamo l’asticella…
di Fabrizio Carrera e Giorgio Vaiana
Una chiacchierata con Giacomo Tarquini. Per dirla alla maniera figa, lui è “Global Marketing Director” di Duca Di Salaparuta, Florio e Corvo. Bastano due secondi per intuire di come Tarquini sia una persona pratica, diretta e molto semplice rispetto al nome figo del ruolo avuto poco più di un anno fa. E con lui parliamo di tante cose: di vino, certo, ma anche di Etna, Sicilia, marketing (ça va sans dire) e l’immancabile Marsala visto che Florio detiene oltre il 50 per cento della market share in Italia. Ricordando che Duca di Salaparuta e Corvo con Florio sono tre aziende che hanno fatto la storia del vino siciliano e non solo, oggi di proprietà della famiglia Reina noti anche come titolari della Illva di Saronno.
Ma insomma Tarquini, esiste un marketing e un marketing del vino?
“Certo. E nel mondo del vino ormai è un retaggio di antichità. Nel mondo enologico siamo all’anno zero. Il vino ha un marketing arretrato. La mia politica è quella di portare nelle aziende con cui collaboro un certa filosofia di contemporaneità, quindi analizzando il consumatore dal punto di vista degli stili, dei gusti e dei numeri. Che sono importanti infatti: perché indicano quanto un’azienda possa essere sostenibile. E parlo a livello economico. Solo i grandi gruppi, che hanno una certa struttura manageriale, hanno questa mentalità”.
E lei come vede il vino siciliano?
“Ha avuto una grossa evoluzione. L’ingresso delle denominazioni ha fatto innalzare in alto l’asticella della qualità. Noi, come azienda, abbiamo avuto come riferimento il progetto Etna, che lo reputo quell’aspetto di geolocalizzazione che serviva alla Sicilia per emergere ancora di più. La Doc Sicilia ha dato una visibilità di coesione, ma secondo me il vulcano ha dato un’immagine concreta, un simbolo che serviva. Proprio qui ci sono certi aspetti del vino che hanno avuto un’evoluzione, puntando sul singolo vitigno, nel volere cercare la zonazione, la contrada. Ed è quello che in Ialia sta funzionando al meglio. Un esempio? Il Chianti Classico. Ed è anche per questo che usciremo con vini della vendemmia 2020 col marchio Doc Sicilia”.
Ma con Duca di Salaparuta puntate molto anche sull’Etna?
“Sì, tenuto conto che siamo presenti sull’Etna da tanti anni ormai. Coltiviamo i vitigni del luogo, certo, ma la nostra vera sfida è il Pinot Nero. Quando siamo arrivati qui, ci siamo messi in testa che dovevamo avere un approccio serio e di rispetto. Soprattutto per stare dentro ad una Doc c’erano determinati canoni da rispettare. Nel 2022 usciremo con un bianco e un rosso della vendemmia 2020. Poi stiamo pensando anche ad un progetto di contrada”.
E il resto della Sicilia, come lo vede?
“Ci sono delle progettualità molto chiare. In questo momento vedo un lavoro molto importate sul Nero d’Avola e la cosa mi fa molto piacere. Qui in Sicilia c’è una sorta di “banca del vino”. Abbiamo una cultura nell’allevamento delle varietà internazionali molto importante. Se devo fare riferimento ad un Syrah di un certo livello lo vedo coltivato qui. Così come se penso ad uno Chardonnay del Sud Italia, penso ad uno di qui. O al Sauvignon Blanc, ma non trattato come uno Zibibbo che in Sicilia esprime note spettacolari. Le potenzialità a livello produttivo sono state espresse per molto tempo. Adesso si sta ritornando al qualitativo, ma puntando sui vitigni simbolo di questa terra”.
Ci parli di Duca Enrico, forse il vostro vino bandiera fin dal 1984…
“E’ un progetto in continua evoluzione. Questo vino è realmente la bandiera del Nero d’Avola e deve tornare a sventolare più forte di prima sia in Italia che all’estero. A livelo di azienda abbiamo una grande responsabilità. Abbiamo avuto una visione stilistica che puntava molto ad un consumatore esperto, con un vino dai tempi dilatati a livello di affinamento. Per esempio la bottiglia venduta nel 2020 conteneva il prodotto della vendemmia 2013. Ora stiamo pensando a far diventare questo vino più accessibile. Non parlo a livello economico, ma a livello di comprensione del consumatore. Perché dobbiamo pensare anche al consumatore del futuro. Per questo abbiamo deciso di rilasciare tre annate in una volta sola: la 2015, la 2016 e la 2017. Tre stili diversi: la 2015 più elegante per un consumatore esperto, la 2016 di livello intermedio e la 2017 dalla vivacità molto presente dedicata ad un consumatore che si sta approcciando a questi vini importanti. Ecco, il nostro obiettivo è quello di permettere a più consumatori possibili di comprendere questo prodotto. Ma deve “vederci” una bevuta molto più contemporanea. A settembre rilasceremo la vendemmia 2018″.
Com’è stato il vostro 2020?
“Dobbiamo distinguere i canali della Gdo e quello dell’Horeca. Per quanto riguarda la grande distribuzione, i numeri sono positivi. Siamo cresciuti più della media nazionale, attestandoci a un +8,7 per cento contro il 7,5 del mercato nazionale. Nel frattempo abbiamo fatto un restyling totale delle nostre etichette, presentando anche alcune novità. Riprogettarsi è stato davvero difficile e complesso. Ma abbiamo fatto delle degustazioni virtuali con i nostri buyer e i nostri riferimenti della ristorazione. E per questo nel canale Horeca, seppur con il dato in flessione, abbiamo avuto un calo minore della media nazionale”.
Cosa vi aspettate dal 2021?
“Cercheremo di portare sul mercato quello che non abbiamo portato lo scorso anno. Abbiamo lavorato pochissimi mesi, conti e calendario alla mano. Ora dobbiamo rimodulare la nostra proposta dello scorso anno”.
E l’estero? Penserete ad un approccio diverso?
“Abbiamo diverse sedi commerciali sia in Europa che negli Stati Uniti. Abbiamo cambiato l’offerta di Corvo privilegiando la fornitura diretta nella Gdo, soprattutto in Germania, Olanda e Inghilterra. Qui lavoreremo in maniera diretta con le grandi catene della distribuzione. Sul canale dell’Horeca, abbiamo sempre i nostri partner di riferimento. In ogni caso la nostra quota export dei tre marchi si attesta sul 20 per cento”.
Dici Florio e dici Marsala… Lei come la vede?
“Bisognerebbe fare un ragionamento di categoria. E noi lo stiamo facendo. Forse il più profondo e importante. La categoria dei fortificati, dove c’è anche il Marsala, io non la considero vino. C’è il contatto con l’ossigeno, ci sono metodi, stili e classificazioni che non appartengono al mondo del vino. Marsala, non essendo stato protetto come prodotto, ha visto un uso “smodato” del suo nome e della sua produzione. Stiamo parlando di numeri altissimi in America, solo per fare un esempio. Si parla di Marsala fine, utilizzato per lo più in cucina. Se non si ripensa questa categoria, si rimane stagnanti. Il nostro obiettivo è quello di ricostruire la reputazione del Marsala. Ma bisogna fare gruppo. Si è sentita, negli anni, la mancanza di una visione di insieme. Noi, come azienda, produciamo da soli il 58 per cento della market share del Marsala ma, e lo diciamo da leader del settore, serve un confronto, una rassicurazione, un modo per dare degli stimoli”.
State immaginando anche un modo nuovo di fare enoturismo…
“Noi abbiamo numeri importanti di visite enoturistiche in cantina. In media facciamo 55 mila visitatori l’anno. Io preferirei fare meno visite, ma alzando la qualità, già di per sé eccellente, dell’offerta e dell’esperienza. Il nostro percorso di visita non è banale, dura 90 minuti e le ragazze che fanno accoglienza sanno parlare 4 lingue. Noi diciamo sempre una cosa: alla fine del percorso bisogna degustare per vivere al meglio questa esperienza. Perché l’enoturista finisce il suo viaggio aziendale rimanendo senza parole davanti la botte da 6 mila litri di marsala. E deve avere lo stesso choc entrando nella nostra enoteca completamente visionaria e innovativa. Una sorta di cerchio che si chiude. A me piacerebbe avere flussi di visitatori più contenuti privilegiando un posizionamento più alto”.
E anche quest’anno senza Vinitaly…
“Ci stiamo orgnizzando come lo scorso anno. Dispiace e tanto, di non poter esere a una fiera. Non potersi incontrare è una parte limitante del nostro lavoro. Ci sono attività online di presentazioni dei prodotti che portiamo avanti, eventi “one to one” organizzati su misura e con tutte le giuste precauzioni. Le presentazioni per la stampa verranno sicuramente fatte, magari tra settembre e ottobre. Ma quello che mi manca di più è il rapporto con il consumatore, quello che magari ha pagato un biglietto “salato” per assaggiare il vino delle aziende italiane. Quello che io definisco un grande appassionato”.
Ci descriva le tre aziende con un colore?
“Per me Florio è giallo, Corvo è rosso e Duca di colori ne ha tre: celeste, bianco e nero”.