Dalla valorizzazione della diversità al valore etico della sostenibilità, Diego Cusumano traccia l’evoluzione del panorama vitivinicolo siciliano tenendo sempre bene in mente come solo il tempo può dare valore a ogni singolo progetto senza mai dimenticare, al di là di trend di mercato e mode del momento, i grandi autoctoni come il Nero d’Avola. Pazienza e tempo di cui è testimonianza uno dei prodotti più richiesti, lo spumante metodo classico 700. Un prodotto frutto dell’incontro di Pinot Nero e Chardonnay dopo più di dieci anni di attesa dalla prima vigna di Pinot Nero acquisita nel 2010. “Il nostro primo Brut risale al 2013. Quando abbiamo pensato di fare questo spumante pian piano abbiamo preso consapevolezza di questo territorio”, spiega Cusumano. Un totale di più di 500 ettari suddivisi in 5 tenute per una linea di 12 referenze. Ciascuna di questa è considerata come “un’isola diversa dall’altra. Ognuna con una propria autonomia per dare importanza alla diversità”. Vent’anni “rivoluzionari” in continua evoluzione dove l’Etna, da poco inserita in questa cornice, diventa tassello affascinante del mosaico – così come Diego Cusumano ha definito il territorio vitivinicolo siciliano – che funge da leva all’intero successo dei vini siciliani che esula da qualsivoglia denominazione: “L’Etna ti apre le porte, ma non deve fare ombra alla Sicilia. In alcune parti del mondo sta accadendo il contrario. Dobbiamo allora parlare di singoli progetti. Se presenti un’offerta generica perdi la specificità e la singolarità dei diversi tasselli del mosaico. Bisogna parlare di singoli progetti, allora a quel punto crei la curiosità”.
Qual è il comune denominatore che lega la ventennale attività di Cusumano?
“Da quando abbiamo iniziato il comune denominatore è il valore che abbiamo dato alla vigna. Tutto nasce esclusivamente da qui e, tenendo forte il timone su questo principio, posso dire che alla fine è questa la cosa che più ripaga. Ogni progetto legato alla vigna ha bisogno di tempo. Abbiamo imparato a dedicarne tanto. Più abbiamo investito in tempo e più i progetti sono diventati solidi e forti. Nulla deve essere fatto basandosi sulla moda, ma sulla capacità espressiva di ogni singolo territorio. Il mercato è cambiato, si è passati da vini dove la barrique aveva una forza incredibile a un gusto che predilige più uno stile asciutto e fresco, ma questo fa parte della vita in ogni settore. L’aspetto fondamentale è quello di avere investito e creduto nella potenzialità dei nostri vitigni dando forza alla vocazione territoriale, prediligendo la tenuta di Ficuzza in provincia di Palermo per i bianchi e quella di San Giacomo a Butera in provincia di Caltnissetta per i rossi, ad esempio. Con il tempo, tutto questo è diventato solido. Oggi siamo in 65 paesi nel mondo con gli importatori di sempre”.
Come è cambiato il gusto e l’approccio del pubblico in questi anni?
“La cosa più bella a cui ho assistito nel mondo è una continua curiosità da parte delle donne al vino. La donna è curiosa, attenta, e questo ci aiutato a fare mettere in luce i valori. Il punto di forza in questi anni per il settore è stato anche l’avvicinarsi anche dei giovani. Qualche anno fa si prediligeva la barrique. A noi sinceramente non piaceva moltissimo perché i nostri vini, vista l’altitudine delle vigne, hanno nel loro Dna tanta freschezza con un’incredibile acidità. Oggi si è più predisposti per questo stile più asciutto che esprime al meglio vitigno e territorio. Involontariamente, da sempre, noi siamo stati sempre su questa direzione”.
Sostenibilità. Se ne parla tanto, di cosa si tratta nel concreto?
“Un vignaiolo è sostenibile per natura. È un principio etico, non c’è bisogno di decantarlo come commerciale. Si è sostenibili quando proteggiamo il patrimonio che noi abbiamo, e questo ci fa stare bene con noi stessi. Il patrimonio che abbiamo non riguarda solo la vigna e il rapporto fra la vigna con il territorio, ma anche il rapporto con i dipendenti. Tutto questo è sostenibilità”.
Quale vitigno e/o vino vi da più soddisfazione?
“In questo momento nel mondo c’è tantissima richiesta di Altamora Etna Bianco. In tutta la ristorazione medio alta abbiamo molto consenso, e non possiamo che guardare questo risultato con grande piacere, anche se mi preme ricordare che il vitigno che non dobbiamo mai dimenticare è il Nero d’Avola insieme al Grillo. Non dobbiamo fare in modo di abbandonarlo. All’estero non c’è il pregiudizio sul Nero d’Avola. L’eccesso di offerta sul mercato ha disorientato il consumatore, ma accanto al vitigno c’è il brand che da sicurezza. Il nostro è venduto in tutte le enoteche americane. Durante la pandemia su wine.com nella selezione dei vini intorno ai 15 dollari, il nostro è stato il più venduto. Non dobbiamo mai parlare male dei nostri autoctoni, ma farli amare. Dobbiamo essere come una guida, iniziamo dai monumenti più importanti”.
Qual è la visione di Alta Mora e in che direzione vuole andare questo progetto?
“L’Etna è misteriosa, incantevole. Ma deve essere presa come l’effetto leva. È bella perché è inserita in un mosaico di territorio siciliani. È il mosaico che vince. La nostra direzione è quella già intrapresa, stiamo curando sempre di più i vostri vigneti, lavorando tantissimo sul rispetto del territorio, fra vigna e natura. I vigneti da noi sono coccolati come si fa con i propri figli. Non pensiamo ad altre referenze, ma fare di più su quelle che già abbiamo per aumentare l’identità di ogni singolo vino. Siamo nati tardi, nel 2013, ma Altamora ci sta dando soddisfazioni enormi in tutto il mondo. Al “Le Pavillon”, per esempio, di New York trovate l’Etna rosso “by the glass”. Riguardo gli spumanti su questo territorio, noi ci concentriamo su quello che già stiamo avviando. All’estero l’immagine è forte. Non è comparabile a nessun altro tipo di vino quello dell’Etna, per questo dobbiamo lavorare sul sostanziale. La parte burocratica serve a poco. La Docg non da nessuna garanzia sul livello della qualità, chi è serio già è sotto la resa che potrebbe essere indicata”.
C’è un altro territorio in progetto che possa aggiungere un tassello al già variegato racconto enoico dell’isola?
“Abbiamo completato la nostra opera, siamo contenti così. Ma mai dire mai”.