La Cina sembra che stia ripartendo. Ma il Coronavirus è il cigno nero per il vino italiano. Serve qualche certezza in un mare di incertezze. ProWein rinviata è un duro colpo all’organizzazione delle cantine. E ora?
Parla Silvana Ballotta, amministratore delegato di Business Strategies, la società con sede a Firenze che, gestendo i piani di promozione finanziati con l’Ocm è uno snodo ed un punto di osservazione privilegiato per le dinamiche del vino italiano all’estero.
ProWein rinviato. Che succede ora secondo? Rinviare ad aprile non si può anche perché c’è il Vinitaly e slittare tutto di un mese non avrebbe senso. Maggio? Giugno? Sono mesi buoni per una fiera del vino in Germania?
“Non credo sia una questione di mesi più o meno buoni. Occorre recuperare la serenità del sistema. Per essere efficaci le fiere devono consentire l’incontro tra gli espositori e il trade. Ora la nuova “mazzata” dei voli American Airlines su Malpensa sospesi sino al 24 aprile. E di immediate disdette di presenze anche a Vinitaly che invece, secondo me, fa bene a tenere il punto confermando a pieno la sua operatività nelle date fissate. Non siamo di fronte ad una lotta tra i vari enti espositori, ma ad un momento di crisi in cui chi per primo riesce a confermare il proprio calendario pone un elemento di certezza in tanta incertezza”.
Che cosa farà il Vinitaly? Rinvia? I periodi disponibili sono pochi e poi arriva l’estate. Tutti i buyer americani a cui è stato detto che è sconsigliato partire per l’Italia verranno?
“Non saprei. Non ci resta che incrociare le dita. Vedremo”.
In Cina che cosa sta succedendo? Il problema ha toccato il suo picco e i cinesi sono in uscita? Oppure abbiamo informazioni sbagliate?
“Dalla Cina, o meglio, da Shanghai arrivano notizie di una ripresa delle attività e di una riapertura degli uffici. Mi arrivano telefonate per sapere come sto io ed i miei familiari perché adesso là si è diffusa la voce di una situazione italiana grave e fuori controllo”.
E in questo caso cosa può fare l’Italia del vino?
“Il coronavirus è il cigno nero del 2020. Come ben sappiamo sotto pressione le organizzazioni rivelano la loro capacità di tenuta e di reazione. Il mondo del vino italiano sta esprimendo da mesi le proprie preoccupazioni per l’andamento dei mercati, anche dopo avere “scampato” i dazi minacciati dagli Stati Uniti. Ora più che mai bisogna rimanere lucidi e sfruttare questi momenti a proprio vantaggio. Non mi stanco di dire che dal periodo Sars è emerso Alibaba, ovvero la cina è capace di rigenerarsi più forte di prima. Nel recente periodo di isolamento, il digitale si è rafforzato moltissimo diventando strumento principe di comunicazione, acquisto e condivisione. Wechat non più essere uno sconosciuto per chi lavora con la Cina, a nessun livello”.
(Silvana Ballotta)
Cosa proponete?
“In riferimento alla Cina, il vino italiano può mettere a punto canali digitali ed App che alla ripresa faranno la differenza sul mercato. Il mio ufficio di Shanghai riferisce da parte cinese di richieste di incontri e di programmi di attività per recuperare il tempo dell’isolamento nel più breve tempo possibile. E quindi, perché no, bere buon vino italiano anche più di prima. E stiamo pensando adesso ad organizzare corsi sul vino italiano online. D’altra parte i cinesi ci insegnano che ogni problema può essere una opportunità”.
I fondi Ocm rischiano di restare inutilizzati? Serve una rimodulazione?
“Il sistema dei fondi Ocm rileva ancora una volta tutta la sua dicotomia. Da una parte è lo strumento principe, fortemente aggregante capace di muovere milioni di euro a beneficio della promozione dei nostro vino proprio in quei paesi terzi che ne hanno bisogno. Dall’altra la cointeressenza di più attori istituzionali (Unione europea, Mipaaf, Regioni, Agea ed Agecontrol) a presidiare la misura impedisce che la stessa sia tempestiva e che abbia nei tempi utili l’agilità e la versatilità di adeguamento alla contingenza dei mercati internazionali. Da alcuni mesi tutta la filiera sta premendo perché i progetti possano essere modificati, che le soglie di punibilità vengano abbassate. Ci sono parecchie questioni tecniche da risolvere, ma sino ad oggi non ci risultano ancora provvedimenti presi. Ritengo che la soluzione sia quella di allungare il periodo di realizzazione delle attività, passando dai 12 mesi attuali a 24 mesi. In questo modo le aziende sarebbero meno in ansia e potrebbero, con i fondi già impegnati, dare vita a programmi di promozione che siano una risposta pronta ed efficace alla fine della crisi, perché sappiamo tutti che arriverà ed avere già i fondi per affrontare la ripresa sarebbe un aiuto vero e concreto”.