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L'intervista

Cantine Settesoli, parla Giuseppe Bursi: “Avanti tutta per dare più valore all’uva e al vino”

14 Dicembre 2019
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Le uve 2019 pagate in media il dieci per cento in più rispetto all’anno scorso. Il nodo dello sfuso da riqualificare. E la necessità di crescere nell’export. Il caso Li Petri. E il nodo della riorganizzazione aziendale. A due anni dall’elezione il presidente della cooperativa di Menfi si racconta



(Giuseppe Bursi)

Cita Leonardo Sciascia. Ma per ribaltarne la visione sulla Sicilia. Indica nella necessità di dare più valore al vino e alle uve il suo principale obiettivo. 

Racconta di aver aumentato la remunerazione delle uve di circa il 10 per cento a fronte di un calo del 17 per cento nella vendemmia 2019. Giuseppe Bursi, presidente della Cantina Settesoli di Menfi, colosso del mondo cooperativistico del Sud Italia, traccia il bilancio della presidenza due anni dopo da una elezione avvenuta con qualche strascico polemico (il cambio di guardia un po’ tumultuoso con Vito Varvaro) e un anno dopo dal licenziamento di Salvatore Li Petri, storico direttore generale che tanto clamore ha suscitato. Ecco l’intervista alla vigilia di un’assemblea dei soci che chiude il 2019 e delinea le strategie future.

A due anni dall’elezione a presidente della Settesoli proviamo a tracciare un bilancio?
“Sono stati due anni molto impegnativi, nei quali il consiglio di amministrazione è dovuto intervenire  principalmente nel dare un nuovo assetto organizzativo all’azienda. Ciò sia perché ha dovuto sostituire l’ex direttore commerciale, il responsabile dei controlli di gestione e il direttore generale. Ma al di là degli aspetti di carattere organizzativo, si è voluto cambiare strategia puntando a far crescere la percezione dei brand aziendali e ad elevare il prezzo medio dei nostri prodotti sia nel mercato del canale horeca sia nella gdo, sia nel mercato dello sfuso. Lo sforzo è stato quello di avviare un percorso di crescita, che consentirà di trasmettere al consumatore quello che è lo stile di Cantine Settesoli, che sempre più deve rappresentare sul mercato garanzia di eccezionale rapporto qualità-prezzo dei propri vini nel rispetto dell’ambiente e della sostenibilità intesa in senso globale. Il bilancio ad oggi è sicuramente positivo le azioni intraprese hanno già prodotto i primi risultati quali ad esempio un aumento significativo dei prezzi medi per bottiglia e sono convinto altri ne arriveranno, ma  questo è quello che penso io, la valutazione finale la faranno i soci che si aspettano di avere remunerate meglio le loro uve”.

La sua elezione è avvenuta tra qualche polemica. Varvaro scontento per la mancata rielezione nel cda, peraltro rivoluzionato, visione sulla gestione aziendale totalmente diversa. E poi un anno dopo il licenziamento un po’ a sorpresa del direttore generale Salvatore Li Petri. Cosa rimane di questi strascichi?
“Inutile dire che i fatti successi, le polemiche che hanno fatto seguito alla mia elezione hanno costituito per molto tempo uno degli argomenti più dibattuti all’interno del territorio in cui opera Cantine Settesoli, ma credo che la situazione oggi sia mutata, i soci hanno percepito che esiste la possibilità di cambiare realmente le cose, dimostrando di avere acquisito fiducia nel lavoro che questo cda sta svolgendo e cominciano a credere che la situazione migliorerà. È un passaggio importante, adesso tocca a noi dimostrare che la loro fiducia nei nostri confronti è ben riposta e lo potremo fare solo attraverso il raggiungimento di risultati importanti e utili ad accrescere il valore delle uve”.

Come è organizzata oggi Settesoli? Si può fare a meno di un direttore generale? E soprattutto gestire l’eredità di gestioni dalle personalità molto spiccate?
“Settesoli oggi vede due grandi aree di responsabilità, una economico finanziaria, una tecnico organizzativa. Ancora non abbiamo sostituito il direttore generale e non è escluso che lo faremo in un prossimo futuro, ma al momento riteniamo che possiamo gestire bene la situazione, grazie al senso di responsabilità e la dedizione al lavoro di tutti i capi settore che stanno dando il massimo per far andare le cose nel modo migliore. Per ciò che riguarda l’eredità lasciatami dai miei predecessori, so perfettamente che stiamo parlando di due grandi personaggi: uno con grande esperienza nel settore vitivinicolo siciliano, l’altro un manager proveniente da settori diversi. Qualcuno si è chiesto come un “burocrate” possa avere preso in mano una eredità così complessa e come pensa di riuscire a gestirla. Io rispondo  con la consapevolezza di conoscere bene il comparto vitivinicolo per essermene occupato per circa un ventennio, con la modestia di chi sin dall’inizio ha cercato di studiare e imparare in fretta attingendo naturalmente dall’esperienza delle persone che lavorano in azienda e assumendo collaboratori seri e preparati che stanno dimostrando di credere nel nuovo progetto di sviluppo di Cantine Settesoli. Ho sempre creduto che da soli non si può far tutto, alla base di qualsiasi successo c’è sempre il lavoro di squadra e nel nostro caso la squadra è stata riorganizzata e rafforzata con nuove figure direzionali che ci consentono di guardare con fiducia al futuro”.

Un po’ di numeri. Fatturato, imbottigliato, export…Dove siete forti? E dove dovete migliorare?
“Il bilancio 2019 si è chiuso con un fatturato di poco più di 51 milioni e mezzo di euro. Il confezionato rappresenta il 67,9 % della produzione complessiva  di cui il 37 % venduto in Italia ed il 67 % all’estero. Lo sfuso rappresenta il 27,4 %. Dobbiamo cercare di migliorare sia in Italia che all’estero, ma in particolare su Inghilterra, Stati Uniti e Giappone”.

Su cento litri di vino prodotti, quanti gli sfusi, quanti quelli venduti in tetrapak e quelli venduti in bottiglia? E come vorreste cambiare queste percentuali?
“Le bottiglie sono 12.332.755, ovvero il 40 per cento sul totale dei litri venduti. Brik e bag in box sono 5.014.260, il 16,2 per cento dei litri venduti. Lo sfuso è il 43,8 per cento sul totale dei litri venduti. In realtà vorremmo aumentare la percentuale di vino confezionato in ciascun segmento di mercato, diminuendo sempre più la percentuale di vino da destinare allo sfuso. È evidentemente un processo lento, ma necessario, per sfuggire ad un mercato al ribasso che non qualifica i nostri vini”.

Quali anticipazioni ai soci? Come è andata la vendemmia 2019?
“La vendemmia 2019 è stata caratterizzata da una produzione di ottima qualità e da una diminuzione della produzione del 16,6%. In particolare c’è stato un calo maggiore per le varietà bianche di circa il 24%, meno per le rosse di poco più del 10%. Per fronteggiare tale situazione abbiamo aumentato i prezzi delle uve in media del 10% con pagamenti delle uve di fascia più alta ad esempio di 63 centesimi per il Nero d’Avola, di  58.20 centesimi per il Cabernet Sauvignon di 67 centesimi per il Fiano e di 52,20 centesimi per lo Chardonnay, naturalmente al netto dell’Iva. Ci riteniamo abbastanza sodisfatti tenuto conto della situazione generale e dei prezzi dei nostri competitor, ma dobbiamo e possiamo fare di più e questa rimane l’ambizione per la prossima vendemmia”.

Come si fa conciliare il lavoro di dirigente dell’assessorato all’Agricoltura e presidente di una grande cantina sociale?
“Non è semplice. Diciamo che l’auto è diventata la mia seconda casa. Tra andata e ritorno sono più di 2 ore di strada che faccio dalle 3 alle 4 volte a settimana arrivando in cantina a pomeriggio inoltrato e rientrando a casa dopo le 21”.

Quale il giudizio sulla Doc Sicilia?
“Al momento attuale sicuramente positivo, la crescita del numero di bottiglie che si fregiano della Doc Sicilia continuano ad aumentare e questo è un bene per tutto il settore. L’aspetto secondo me molto importante è  quello che, attraverso la Doc, si sono seduti intorno ad un tavolo aziende vitivinicole private e grandi cooperative, il che permette pur nella differenza di visione, di discutere ed affrontare  temi importanti che possono contribuire a valorizzare il vino siciliano”.

È la vigilia di una importante assemblea dei soci. Cosa racconterete?
“Racconteremo delle cose fatte e di quelle che dobbiamo ancora fare, in maniera chiara e trasparente così come sono abituato a fare. I soci hanno il diritto di  essere informati e condividere i progetti che intendiamo portare avanti. Solo da questa sinergia possiamo sperare di ottenere risultati migliori. Il punto  di partenza di qualsiasi strategia commerciale e di marketing deve partire dalla qualità del vino che tu intendi proporre sul mercato e di conseguenza dalla qualità delle uve che l’agricoltore riesce ad ottenere in vigna. Il fare insieme le cose, il dimostrare che si sta lavorando nell’interesse di tutti nel rispetto delle regole stabilite dallo statuto, costituiscono il presupposto per raggiungere grandi traguardi. Non scorciatoie quindi, ma un serio lavoro di squadra che coinvolga tutti per raggiungere obiettivi importanti per Cantine Settesoli”.

Cosa manca al vino siciliano per acquisire maggiore valore?
“La consapevolezza che si può migliorare, che possiamo pian piano affrancarci dagli altri, la capacità di pensare ad un progetto per la valorizzazione dei nostri vitigni autoctoni patrimonio unico e ancora poco sfruttato, la volontà di non innalzare steccati, ma di trovare forme di collaborazione che permettano a tutti di emergere. In questa direzione sta andando il lavoro avviato dal consorzio Doc Sicilia per arrivare ad un marchio di sostenibilità che vada oltre il vino biologico e l’ipotesi di uno studio di mercato per valutare le possibilità di valorizzazione di alcune varietà quali il Grillo. Diceva Sciascia che i siciliani non credono che con le idee si possano cambiare le cose, io credo invece l’esatto contrario, solo attraverso le idee si può migliorare e ridare speranza di una vita migliore ai nostri viticoltori, bisogna solo convincerli che si può fare, ma questa rimane ancora la parte più difficile”.

F.C.