Intervista al presidente del Consorzio Barolo e Barbaresco. Il nodo del troppo sfuso, i prezzi bassi e il Nebbiolo che cannibalizza le colline… Dopo lo stop ai nuovi vigneti ora si profila la necessità della riserva vendemmiale. “Ma dobbiamo spingere i viticoltori a chiudere la filiera, il valore sta nella bottiglia”. La sfida della sostenibilità: “Arriveremo presto al 60 per cento di tutto il vino in biologico ma senza forzature ideologiche”
(Matteo Ascheri)
La scorsa estate la decisione di introdurre uno stop ai nuovi vigneti. I produttori hanno metabolizzato l’idea? Il tetto alla produzione di Barolo resta una priorità?
“Sì, la decisione è stata ampiamente condivisa e senza grosse opposizioni, quindi alla fine “facile” da prendere. La quantità di produzione è una priorità perché prima di produrre di più bisognerebbe vendere meglio. E quando dico meglio lo intendo rispetto alla situazione attuale che è soddisfacente, ma non ottimale. L’argomento del controllo alla produzione dovrà comunque, prima o poi, essere integrato con il controllo delle rese con la formula della riserva vendemmiale”.
Matteo Ascheri è il presidente del consorzio Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Dogliani. E conosce perfettamente punti di forza e di debolezza di uno dei territori di vino più importanti al mondo. Oggi dici Barolo e parli di uno dei pochi vini-icona d’Italia. La crescita è stata tumultuosa ma non mancano le preoccupazioni. E dalle parole del presidente capisci che oggi puoi vincere la sfida solo se vivi il presente proiettandolo continuamente nel futuro. E lo capisci da questa lunga conversazione con lui aiutati da un buon bicchiere di Nebbiolo. Torniamo alle domande.
È probabile che a farvi prendere la decisione sia stata la valutazione sul prezzo dello sfuso che, per quanto venga da una zona di pregio, rimane un po’ basso?
“Questo ha influito, anche se è tutto relativo e non sarebbe comunque una novità nella dinamica della nostra denominazione come nelle altre. La scelta è comunque tra l’accettare questa dinamica di fluttuazione di prezzo – che è fisiologica e legata a dinamiche il più delle volte complesse ed esogene al settore – oppure cercare di fare qualcosa, magari con un po’ di anticipo”.
Può darsi che oggi la vostra priorità sia anche quella di ridurre la produzione e la vendita di sfuso agli imbottigliatori? E di incoraggiare alcuni dei soci che producono solo uva e/o vino a chiudere la filiera?
“Più che ridurre la produzione, concetto relativo ed influenzato dalla domanda, vorremmo far sì che chi produce uva e/o vino lo possa vendere con il proprio marchio in bottiglia, il più possibile”.
Ricollegandoci alla domanda precedente: non è troppo il 30 per cento di vino sfuso venduto ad imbottigliatori?
“Può essere anche troppo ma sicuramente sarebbe meglio ridurre o iniziare un percorso di riduzione di questa percentuale”.
Sulla politica dei prezzi, ovvero bottiglie vendute a cifre non troppo remunerative, state valutando nuove decisioni?
“Intanto questa situazione è frutto della dinamica legata alla vendita dello sfuso e quindi migliorando questo dovremo migliorare anche il posizionamento. Comunque alla fine non possiamo fare molto se non controllare l’offerta con il blocco dei nuovi impianti ed in futuro con la riserva vendemmiale e stimolare, laddove possibile la domanda”.
Presiedere il consorzio Barolo, Barbaresco, ecc ecc significa occuparsi di altre otto denominazioni. Non sono troppe?
“In effetti sono molte e con dinamiche a volte completamente diverse. Per questo abbiamo istituto delle consulte per ogni denominazione in modo che ognuna abbia un’attenzione ed una valutazione specifica. Molti produttori poi producono nella propria cantina più denominazioni, dove alcune sono prioritarie ed altre di complemento. Altri invece hanno queste denominazioni, che sono complementari per alcuni, come denominazioni di punta o prevalenti. Questo sicuramente complica ancora di più il quadro”.
Uno dei problemi negli undici comuni del Barolo è la coltivazione di Nebbiolo a dispetto di altre cultivar. Tutto questo non mina la biodiversità? E anche l’idea di diversificare la produzione come vuole la tradizione dei vignaioli di Langa?
“Le problematiche sono di doppia natura: prevalenza del vigneto rispetto ad altre coltivazioni. E prevalenza del Nebbiolo rispetto alle altre varietà, nell’ambito della coltivazione a vigneto. Alla fine però sono evoluzioni che seppur controllate sono quasi inevitabili ed a volte cicliche. Nella zona del Barolo ad oggi sono 2.200 gli ettari vitati atti a produrre Barolo. Nel 1879 la monografia del Fantini sull’enologia e viticoltura in provincia di Cuneo citava 2.000 ettari destinati alla produzione di Barolo. In 150 anni non sono cambiate molte cose, poi. Dobbiamo però valutare che una specializzazione può essere problematica per la biodiversità, ma è quella che permette di ottenere i migliori risultati a livello produttivo, ovvero uso di macchine e professionalità specializzate, migliori trattamenti con migliori tempistiche e via discorrendo”.
Uno dei temi del futuro è quella della sostenibilità e del rispetto dell’ambiente. Saresti pronti a raddoppiare la percentuale di biologico nel vostro territorio oggi attestata sul 30 per cento?
“Sì, anche se con una approccio laico e non ideologico né commerciale. È un argomento troppo importante per essere lasciato a discussioni o punti di vista superficiali o propagandistici”.
Manodopera ed etica del lavoro. Vi state organizzando anche su questo aspetto che richiede maggiori attenzioni?
“È un argomento che ha la stessa valenza della sostenibilità ambientale, se non di più. Non mi piace usare parole o concetti che sono di altri, ma quando sono efficaci e di valore assoluto, allora li uso. E allora dico “buono, pulito e giusto””.
Già, il motto di Slow Food e del suo patron Carlini Petrini che è di questi luoghi. Altra domanda: avete attivato l’erga omnes da pochissimo tempo. Un produttore che possiede cinque ettari e mediamente produce circa 36 mila bottiglie, così come prevede il disciplinare, quanto versa nelle vostre casse?
“Dunque. Il potenziale massimo di produzione di 5 ettari a Barolo è di 36.266 bottiglie. Pertanto le quote sono così suddivise: 323,20 euro ad ettaro, ovvero 2 euro per quintale di uva prodotta più un euro per ettolitro di vino prodotto più 2 euro per ettolitro di vino imbottigliato. La tassazione è relativa alle varie fasi svolte e quindi colpisce che le effettua”.
Come utilizzate i soldi dell’erga omnes?
“I soldi possono essere raccolti solo a fronte di progetti specifici ed approvati dal cda del Consorzio. Al momento finanzieremo la promozione di Barolo & Barbaresco ma in futuro mi piacerebbe dedicare anche una parte dei fondi per progetti di ricerca”.
Il Barolo ed il Barbaresco sono ormai riconosciuti come tra i migliori vini al mondo. Ma c’è qualcosa che vorreste comunicare meglio? E cosa accadrà a New York ai primi di febbraio?
“Intanto come Consorzio vorremmo comunicare… In passato con una scelta, che si è rivelata poi vincente, abbiamo demandato la comunicazione alle aziende stesse che promuovendo il loro marchio promuovevano anche le nostre denominazioni. Il risultato è stato eccezionale anche perché il nostro territorio è stato in grado di esprimere comunicatori eccellenti. Quando poi lo abbiamo fatto come Consorzio ci siamo sempre rivolti al “trade” e cioè a chi il vino lo doveva poi spiegare e vendere al consumatore finale. Esempio di tutto questo è la nostra manifestazione Grandi Langhe che si svolgerà ad Alba il 27 e il 28 gennaio prossimi. Adesso è il momento di cercare di parlare direttamente al consumatore finale in modo da spiegargli chi e cosa siamo. Per questo abbiamo ideato Bbwo, ovvero Barolo Barbaresco World Opening che avrà la sua prima edizione a New York dal 4 al 6 febbraio 2020. L’idea è di comunicare l’eccellenza e la preziosità dei nostri due vini di punta non solo attraverso la stampa specializzata, ma anche quella di “lifestyle” in modo da allargare il più possibile la conoscenza dei nostri marchi e catturare nuovi consumatori”.
F. C.