Il produttore piemontese: “Ed adesso è il momento che i prezzi comincino a salire”
Abbiamo intercettato Angelo Gaja tra una conferenza e la presenza allo stand della Riedel in questo Vinitaly, edizione 2015.
E non potevamo non intervistarlo sul ruolo degli artigiani del vino e sul rapporto con i territori, pensando soprattutto alle Langhe dopo il riconoscimento dell’Unesco. Gaja è sempre un fiume in piena ed abbiamo deciso di raccogliere il suo pensiero.
“Si guarda al paesaggio e noi abbiamo territori bellissimi. E spesso si considerano altri fattori: non so, pensiamo al Nebbiolo od alla Barbera, varietà autoctone che non si possono discutere. Però, ritengo che sia fondamentale il fattore umano per creare ricchezza in un territorio. Ma per fare un grande vino non bastano grandi uomini o grandi donne. Ci vuole anche altro. Per esempio, una suddivisione equa dei fattori produttivi. Prendete le Langhe, dove ritengo che il successo sia dipeso molto dagli artigiani del vino. Nelle Langhe, le cantine sociali controllano il 20 per cento circa della produzione dell’uva, gli artigiani coprono un altro 25 per cento, i commercianti del vino altrettanto. Il resto è degli imbottigliatori puri. Ritengo che queste quote siano ben distribuite e siano la base della fortuna di questo territorio. Basta spostarsi qualche chilometro, per esempio nell’astigiano, e questo equilibrio non c’è più. Dove c’è questo equilibrio, invece, cambia la prospettiva. Cioè dove ognuno svolge una sua funzione, senza prevalere sugli altri. E dove gli artigiani devono avere uno spazio adeguato. Ecco, oggi sostengo che gli artigiani del vino sono il lievito della qualità, hanno un progetto loro sulla testa, che portano avanti, rispettano il territorio. E questo discorso non va fatto solo per le Langhe: per esempio penso a Valentini in Abruzzo, a Biondi Santi in Toscana e tanti altri nomi…Solo che, molto spesso, gli artigiani non vengono tenuti in considerazione, e si parla solo dei grandi produttori. Invece gli artigiani hanno una grande funzione di attrazione e suggestione. Da noi, nell’albese, 800 cantine su 1.000 sono fatte da artigiani. Che raccontano storie, quelle che vogliono sentire i turisti del vino, gli stranieri innamorati dell’Italia, gli appassionati. Adesso dovremmo avere la furbizia di fornire ai consumatori evoluti cd con immagini belle dei nostri territori. Gli enoturisti non vogliono visitare i grandi produttori, perché poi magari trovano le loro bottiglie nei supermercati sotto casa e la storia perde molto di fascino. Ma gli uni hanno bisogno degli altri. Vi racconto una metafora. Il mondo del vino è come un piatto di spaghetti al pomodoro. Gli spaghetti sono le cantine sociali o le cantine dai grandi volumi che hanno imparato a selezionare il miglior grano, a cuocere la pasta al dente, in maniera perfetta. Poi c’è la salsa di pomodoro che va fatta a regola d’arte. Non puoi mangiare la pasta da sola. E nemmeno solo la salsa. Le due cose vanno integrate. Ecco, gli artigiani sono quelli che fanno la salsa. Non sono i più importanti, ma lo diventano se si integrano, appunto con la pasta.
Come vedo il mondo del vino italiano in questo momento? Nel 2014 il fatturato è inchiodato. Non mi vengano a raccontare di fantomatici aumenti dell’1,2 o dell’1,3 per cento. Da un lato sullo sfuso, c’è una competizione fortissima della Spagna. Qui abbiamo perso valore. Dall’altro lato, e quest’anno ce ne renderemo conto, manca il vino. Dico sul serio. Tra 4/5 mesi i commercianti che dovranno andare a comprare vino sfuso, ne troveranno molto meno e di non eccelsa qualità. Questo a causa del cambiamento climatico: se produci meno non puoi vendere di più. Quali sono allora le opportunità? L’euro svalutato in primis, e poi il fatto che siamo allenati e preparati con un numero di soggetti importanti che vanno all’estero a fare da sponsor al vino italiano. Senza dimenticare i contributi Ocm che hanno aiutato, ma di cui non bisogna approfittare. Credo che bisogna imparare a vendere meglio il vino, con un valore aggiunto più elevato; è lì che si deve recuperare, in un momento in cui hai mercato favorevole sarebbe il caso di ritoccare i listini, senza esagerare, ma per recuperare. Poi ritengo che tutti dovrebbero imbottigliare di più e vendere meno sfuso: imparare a valorizzare maggiormente il vino perché il cambiamento climatico comincia a far scendere la produzione. Il ministro Martina parla di un aumento del fatturato dell’export del vino fino a 5,5 miliardi di euro, cioè un + 10 per cento. Cifre possibili. Siamo preparati, abbiamo un fattore umano fortissimo, tenuto conto che abbiamo meno vino da vendere rispetto al passato”.
(Testo raccolto da Giorgio Vaiana)