di Daniele Cernilli, DoctorWine
La nuova regolamentazione con la quale il Chianti Classico si è dotato delle Unità Geografiche Aggiuntive (Uga), che sono nei fatti delle denominazioni comunali o comunque territoriali, è solo l’ultima di una serie che ha visto già operare in questo senso i produttori di Langa, di Soave, di Romagna, di Bardolino o di Montepulciano con le Pievi, per fare degli esempi.
È una tendenza a mio parere molto positiva perché mette in primo piano l’importanza del territorio in modo più preciso e centrale e, soprattutto, non retorico e fondato su elementi solidi. Del resto se i vitigni possono essere piantati e coltivati anche in zone diverse da quelle di origine o comunque tradizionali, e l’esempio di quelli cosiddetti “internazionali” che inizialmente appartenevano alle sole regioni di Borgogna, Bordeaux o Loira è piuttosto evidente, i territori restano fortunatamente dove sono e nessuno può replicarli altrove. Tutti i vini di alta qualità devono rappresentare una loro unicità per essere tali, e l’appartenenza a un certo territorio determina proprio questo. Perciò benissimo così e continuiamo laddove fosse possibile. Questo significa però darsi delle regole condivise, controllabili e soprattutto praticabili per tutti i produttori, e significa anche comunicare ai consumatori in modo chiaro un messaggio così impegnativo. Perché aggiungere un nome in più in etichetta significa anche rendere più difficile il compito per chi poi quell’etichetta deve leggerla e capire cosa significa. Non tutti conoscono profondamente la geografia e credo siano in pochi a sapere dove siano Vagliagli o Montefioralle, che differenze pedoclimatiche possano esserci e come tutto questo si esprima nelle caratteristiche riscontrabili nei vini. E se questo accade in Italia, immaginiamo cosa potrebbe succedere negli Usa o in Cina.
D’altra parte se vi chiedessi a bruciapelo se si trova più a nord Filadelfia o Baltimora, che sono due importanti città della East Coast americana, credo che ben pochi saprebbero rispondere su due piedi. Ed è una cosa relativamente facile. Se iniziassi a chiedere in quale comune del Barolo si trova il vigneto Villero già la cosa sarebbe più complicata. È vero, in Borgogna o in Mosella le cose sono addirittura più complicate, ma lì certe denominazioni esistono da secoli e sono entrate nella memoria di generazioni di appassionati di vino. Da noi le cose sono più recenti e accanto alle Uga o alle Mga bisogna fare delle operazioni di comunicazione nei confronti del pubblico, cosa da non sottovalutare, pena la perdita di efficacia sostanziale di un’operazione che invece è e dovrà essere molto importante per il vino italiano.