di Daniele Cernilli, Doctor Wine
Si diffonde una certa voglia di protagonismo da parte di alcuni sommelier. Dopo i “cuochi star” avremo anche i “sommelier star”?
La mia tessera dell’Associazione Italiana Sommeliers è la numero 531, e la possiedo dal dicembre del 1979. Quasi 38 anni fa, maledizione. Ho il fondato sospetto che dei 530 che l’hanno avuta prima di me ne siano rimasti pochi in vita, perciò posso vantare una militanza che ha ormai pochi uguali, anche se dal 2007 ho ricevuto quella di “socio onorario” che non mi consente più di essere operativo in senso stretto. Questo per spiegare che all’Ais mi lega affetto e riconoscenza, che ho mosso i primi passi nel mondo del vino grazie ad essa e che mantengo rapporti di stima e di amicizia con moltissimi esponenti di quell’associazione. È quindi con un senso quasi paterno che dedico loro queste considerazioni.
Negli ultimi tempi noto una certa voglia di protagonismo da parte di alcuni sommelier, che se in parte è un comprensibile segno dei tempi, dall'altra temo possa sfociare in un allontanamento da un “comune sentire” che un po’ mi preoccupa. Sulla scia dei “cuochi star”, insomma, alcuni di loro stanno prendendo delle derive individualistiche che a me sembrano controproducenti. Allora vorrei provare a ricordare che lo story telling non significa parlare per molti minuti ai clienti dei ristoranti delle vicende personali del produttore del vino che si sta servendo. Soprattutto se la cosa non viene richiesta. In genere si va in un ristorante dotato di sommelier, e quindi di un certo livello, per, nell'ordine, festeggiare un compleanno o un anniversario, parlare di affari, corteggiare un possibile partner. In nessuno di questi casi è previsto ascoltare per più di un accenno chiunque ci distragga da quelle tematiche.
Poi vorrei suggerire di non esagerare con abbinamenti azzardati. Va bene essere supporter dei vini cosiddetti “naturali”, ma accostare un bianco macerato a del pesce crudo, come è capitato al sottoscritto, vuol dire rovinare vino e piatto, ottenendo il contrario di quanto si vorrebbe. Stessa cosa se si usano centrifugati di verdure, cocktail, birre artigianali e cose del genere, che saranno anche di moda, ma che spesso presentano caratteristiche di aggressività organolettica che rischiano di prevalere sull'equilibrio di molti piatti.
Infine, è vero che il ruolo del sommelier ormai va oltre a quello classico, professionale, di addetto ai vini di un ristorante, ma se si vuole davvero diventare anche dei comunicatori, sarebbe bene non solo sapere come farlo in senso tecnico, il che comprende anche l’uso corretto dell’italiano, ma anche possedere una profonda conoscenza tecnica e scientifica. Il linguaggio, insomma, dovrà essere appropriato, asciutto, senza troppi voli pindarici e attrezzato sotto il profilo enologico e scientifico. Pena il rischio di risultare folkloristici, persino clowneschi nella peggiore delle ipotesi, come ci ha ricordato quasi dieci anni fa Antonio Albanese con la sua esilarante presa in giro del sommelier, che su YouTube ha tuttora centinaia di migliaia di visualizzazioni. Essere divulgatori e non sacerdoti di un sacro liquido, questo è il modo moderno e corretto di comunicare, al servizio del pubblico e non della propria autoreferenzialità. Ritrovando una semplicità non banale e non superficiale, una strada che solo chi sa veramente può percorrere.