Riceviamo e volentieri pubblichiamo
di Salvo Foti*
Le vecchie viti sono la testimonianza della vocazione di un territorio alla vitivinicoltura nel lunghissimo periodo. La loro presenza significa che: il territorio è naturalmente vocato alla vitivinicoltura. Cioè a dire il viticoltore non ha dovuto intervenire nella coltivazione della vite in quel territorio, con importanti e imprescindibili interventi esterni, come ad esempio l’irrigazione, massicci trattamenti antiparassitari con prodotti chimici di sintesi per mantenere la sanità delle uve o altra forzatura simile; da lunghissimo tempo, in quel territorio, sono in uso specifici sistemi di allevamento della vite e particolari metodi di potatura; esistono competenze professionali e umane antichissime svolte da viticoltori autoctoni, che generazione dopo generazione hanno tramandato, da padre in figlio, insegnamenti, modi di fare, gesti, tecniche e conoscenze fondamentali per la coltivazione e la cura nei secoli delle viti in quel territorio.
Le vecchie viti, in un dato territorio, fanno parte di un sistema complesso e articolato, derivato da rapporti molto intimi e continuativi tra l’ambiente pedoclimatico, la vite e i viticoltori indigeni. Il viticoltore autoctono, per centinaia di anni, prendendosi cura delle sue viti, oltre a creare dei paesaggi agrari unici e irripetibili e diventato custode del proprio vigneto e di conseguenza del proprio territorio. Il viticoltore–custode, ha sempre svolto una viticoltura di rispetto del territorio, non di rapina, ricercando una naturale armonia tra le potenzialità dell’ambiente e i vitigni, che ha saputo adattare ad ogni specifico luogo, attuando una viticoltura conservativa e rigenerativa, di equilibrio, di sostenibilità ed anche etica. Le vecchie viti di oggi sono il risultato di centinaia di anni di lavoro, di metodi di coltivazione tradizionali, di adattamento al territorio.
In quei territori altamente vocati per la viticoltura, dove è facile trovare vecchie viti, la coltivazione è praticata da generazioni di viticoltori. Possiamo dire che in questi luoghi esiste una coevoluzione tra l’Uomo e la Vite: da sempre convivono insieme, e spesso le viti sono sopravvissute ad una generazione di viticoltori per essere presi in custodia dalla generazione successiva. L’Uomo viticoltore, in migliaia di anni, ha selezionato il giusto vitigno per un particolare luogo e creato una specifica tecnica di coltivazione al fine di avere una produzione quantitativa e qualitativa di eccellenza ripetibile nel tempo, ma così facendo, ha anche selezionato se stesso, adattandosi al suo territorio e a i sui vitigni.
Le vecchie viti possono dare dei grandi vini, molto tipici, particolari, territoriali e quindi unici, ma da sole non sono sufficienti, è fondamentale il relativo territorio, vocato da migliaia di anni alla viticoltura, e soprattutto è necessaria l’esperienza, la tecnica, che solo i viticoltori autoctoni possono avere, perché, potremmo dire, dopo tanto tempo, queste capacità professionale si trovano impresse nel loro Dna. Sull’Etna nel 1435 (per dare un’idea temporale prima ancora della scoperta dell’America) fu fondata la Maestranza de I Vigneri. I principi fondamentali che la ispiravano erano il trasferimento delle conoscenze professionali, delle capacità vitivinicole, alle generazioni future. Avevano capito che solo creando continuità generazionale, condivisione, vivendo e dialogando insieme attivamente, tra generazioni, era possibile l’apprendimento e il trasferimento dell’esperienza, della conoscenza. Quindi non si trattava di istruire dei viticoltori semplicemente facendogli fare alcune centinaia di ore di formazione, ma di creare una comunità di viticoltori, costituita da anziani maestri predisposti ad insegnare e donare, oltre che tecniche, esperienza, insegnamenti di vita, e da giovani allievi predisposti ad ascoltare e imparare. Oggi un vecchio vigneto, delle viti centenarie, hanno bisogno, per produrre un grande vino un viticoltore-custode che abbia la capacità di prendersene cura e dargli continuità nel tempo sapendolo trasferire alla futura generazione di viticoltori. Un giorno chiesi a mio bisnonno, viticoltore molto stimato, quale era la prima importante cosa da fare nell’impianto di un vigneto, lui mi rispose semplicemente: fai un figlio e insegnagli il tuo lavoro di viticoltore.
*enologo. Fondatore de I Vigneri