(Mario Ronco)
Un vitigno, la sua storia, le sue peculiarità e le sue potenzialità. Continuiamo la pubblicazione di articoli dedicati ai vitigni d'Italia e raccontati da enologi e/o agronomi di fama.
Dopo che Lorenzo Landi, toscano, ci ha raccontato il Sangiovese in questo articolo e Salvo Foti il Carricante (in questo articolo), oggi è la volta di Mario Ronco, enologo in varie aziende tra Piemonte, Valle d'Aosta, Liguria e Sicilia. Altri articoli nei prossimi giorni.
di Mario Ronco
Quando Cronache di Gusto mi ha chiesto un articolo sul mio “vitigno del cuore” ho esitato. Come chiedere ad un padre quale sia il “figlio del cuore”. Non si può, non è corretto, non può essere lecito. Poi ho pensato ai miei primi ricordi, e c’era il Grignolino, mio nonno ed il Grignolino, alle prime bottiglie rubate in cantina a mio padre ed ai primi bicchieri bevuti con la consapevolezza del loro contenuto, e torna il Grignolino. Essere nato in Monferrato, ultimo discendente di una famiglia di produttori di vino, ha significato crescere immerso nei profumi, sapori, suoni ed immagini del nettare di Bacco.
Da bambino vivevo sopra la cantina costruita da mio bisnonno. Spesso, d’estate, mi svegliava il rumore del dondolare dei fusti e della catena che serpeggiava all’interno allo scopo di nettarli. Era l’inizio degli anni '70, periodo nel quale i consumi di vino pro capite erano ancora elevati, la meccanizzazione in pieno boom. Come conseguenza i vigneti giovani erano molto produttivi. Solo le vecchie vigne davano prodotti di qualità. I vini migliori erano solo il prodotto della selezione delle uve di vigneti naturalmente poco produttivi, non c’era ancora l’ambizione di cercare di ottenere il massimo da ogni appezzamento. Le uve che vedevo erano soprattutto Barbera e Grignolino, facilmente riconoscibili, nelle bigonce, dal colore: uniformemente scure per la Barbera e decisamente più chiare per il Grignolino. Chiaro di colore, con tanti vinaccioli (grignola in piemontese significa vinacciolo) con profumi di piccoli frutti rossi, speziati di pepe e cannella e con tannini che rendono la beva sapida e mai banale, questo fa del grignolino un vino moderno. Ma non poteva essere tutto qui.
Solo anni dopo capii il motivo dell’ostinata tenacia che ha spinto per secoli i contadini monferrini a piantare nei terreni migliori e curare con particolare attenzione un vitigno dal carattere così particolare. Sì, perché la storia accertata del Grignolino, anticamente chiamato Barbesino, risale almeno al 1249 (con scritti acclarati), anche se ci sono tracce addirittura dell’VIII secolo d.C.. La passione per questo vitigno, tra i viticoltori monferrini, è tale che, l’unica foto che ho da bambino è con due grappoli incredibilmente grandi proprio di Grignolino, orgoglio del viticoltore e non tanto dell’enologo che sarà…
Ma la storia del Grignolino è diversa, decantato dai Savoia, considerato nel secolo scorso uno dei grandi vini rossi piemontesi, amato oppure odiato, ma mai ignorato, definito “testabalorda” da Veronelli, proprio come i Monferrini, poco incline a fraternizzare con le apparenze. Purtroppo a cambiare il corso della secolare storia è stata la creazione delle Doc, avvenute all’inizio degli anni '70, quando i vini invecchiati erano in crisi e la produzione di quantità sembrava poter aiutare gli agricoltori. Interessante è scoprire che nella richiesta di disciplinare del Grignolino del Monferrato Casalese del 1971 si descrivesse la storicità di una tipologia di Grignolino invecchiata diversi anni, apprezzata da un pubblico molto attento. Era però il periodo in cui i rossi invecchiati erano in crisi e si decise di non inserire questa tipologia nel disciplinare. Anche Mario Soldati ne apprezzava le qualità, e descrisse di assaggi di Grignolino invecchiato stupefacenti.
(Mario Ronco insieme con il nonno)
Dopo aver, per anni, assaggiato degustazioni verticali di Grignolino vinificato in acciaio, ed avere scoperto la sua naturale predisposizione all’invecchiamento, nel 2006 grazie allo stimolo del mio amico produttore Ermanno, cominciai con lui a produrre un Grignolino macerato a lungo, invecchiato 3 anni in legno e 2 in bottiglia. Quando il vino uscì, nel 2011, piacque molto: avevamo solo rifatto ciò che avevamo letto. Altri viticoltori si attivarono e, utilizzando i vigneti migliori, si misero a produrre lo stesso antico Grignolino, ognuno con la propria interpretazione e caratteristica. Oggi è in corso una modifica del disciplinare della Dop Grignolino Monferrato Casalese per reinserire quello che storicamente esisteva prima di esser cancellato da una legge. E’ nata un’associazione chiamata Monferace, che comprende una decina di produttori di tutte le Dop di Grignolino e che promuove, con regole ancora più restrittive di produzione, l’integrità di questo vino intrigante. Stiamo inoltre effettuando una selezione massale da un vigneto di Grignolino del 1961 che ci consentirà di incrementare l’attuale variabilità genetica e ritornare ad antichi sapori. Voglio ringraziare i vecchi viticoltori monferrini che nei secoli hanno testardamente coltivato questo vitigno leggero d’aspetto ma orgoglioso di carattere, ed i nuovi produttori che credono ancora negli antichi valori dei padri.