Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
L'intervento

“Ok il futuro, ma non dimentichiamo chi ha fatto grande il vino italiano”

21 Novembre 2017
calici_vino_rosso calici_vino_rosso

di Daniele Cernilli, Doctor Wine

Quando si parla di “classici” in tutti i campi si allude a persone, libri, opere d’arte figurative e musicali, che hanno segnato un’epoca e che sono ritenuti dei punti di riferimento culturale anche oggi. 

Il concetto di “classicità” sta proprio nel sapere sfidare il tempo mantenendo dei valori riconosciuti e condivisi in epoche successive. Pensiamo alle opere di Omero, di Shakespeare, di Dante Alighieri, alle composizioni di Mozart o di Brahms, ai dipinti di Michelangelo, di Leonardo, ma anche di Picasso. Giganti della cultura di ogni tempo. Anche nel nostro piccolo mondo del vino e del cibo esistono i classici. Lo sono i Grand Cru Classé di Bordeaux, di Borgogna, lo sono alcuni Champagne come il Dom Perignòn o alcuni grandi bianchi di Mosella come quelli di Egon Müller. Lo sono persino alcuni vini del Nuovo Mondo, il Grange di Penfold’s in Australia, o il californiano Opus One. E, ovviamente, ce ne sono anche da noi.

I Barolo dei Mascarello, dei Conterno, ma anche alcune selezioni di Pio Cesare, dei Marchesi di Barolo, di Casa Mirafiore. I grandi rossi di Bruno Giacosa. Gli Amarone di Bertani, di Masi e di Quintarelli. E poi alcuni vini di Antinori, di Ricasoli, di Frescobaldi, di Biondi Santi, di Lungarotti, di Mastroberardino, di Tasca d’Almerita. E se ne potrebbero citare molti altri fra coloro che negli ultimi cinquant’anni hanno profondamente segnato la storia recente del vino italiano, creando un movimento che ha posto le basi per il successo mondiale della vitienologia nazionale. Ora, mentre questi argomenti fanno parte a tutti gli effetti del patrimonio culturale della letteratura enologica internazionale, da noi sembra quasi che se si parla di aziende simili allora si è come minimo dei “passatisti”, gente che non capisce il nuovo che avanza e che si rifugia dietro ai soliti noti.

Se avrete la pazienza di consultare le principali pubblicazioni internazionali, da Wine Spectator a Wine Advocate di Robert Parker, dalle guide francesi di Béttane e Dessauve e della Revue des Vins de France, da Decanter a quanto pubblica Jancis Robinson sul Financial Times, osserverete che da parte di tutti costoro c’è un sacro rispetto per i grandi nomi della produzione vitivinicola mondiale, senza che questo sia bollato d’infamia da nessuno, anzi. Perché va benissimo, ed è anche interessante e divertente, fare i talent scout del vino, a patto però che non ci si dimentichi cosa siamo e da dove veniamo e quali sono stati, e per molti versi sono ancora, i protagonisti della scena vitivinicola di casa nostra. Quelli che rappresentano le basi, solide, professionali, di una grande costruzione che poi si articola in mille altri modi, ma che senza di loro non sarebbe stato possibile edificare e consolidare.

doctorwine.it