di Alberto Tasca d’Almerita*
Quello che ho vissuto nel cuore del Chianti è stato uno dei momenti formativi più rari e forse tra i più ambiti da chi è nel settore.
Ho potuto partecipare alla tre giorni organizzata dall’Istituto Grandi Marchi e Master of Wine. Una full immersion sul vino nella Tenuta Tignanello al cospetto dei docenti del massimo ente di formazione sul vino al mondo che conta in tutto il globo solo 299 titolati Master of Wine. A seguirci sono stati Jane Hunt e Mai TJemsland, a coordinare l’evento Peter Csizimadia-Honig. Come sappiamo, in questa rosa di esperti non vi è ancora alcun italiano. E per la prima volta nel nostro Pese si è tenuta una Master Class per consentire l’accesso all’esame del diploma. Abbiamo partecipato in 19, tra i miei compagni Jose Rallo, Alessandro Torcoli, Antonio Argiolas, Allegra, Albiera e Alessia Antinori, Giovanni Folonari, Stefano Carpaneto.
L’incontro è stato interessantissimo. Abbiamo potuto comprendere la logica anglosassone, metodo lontano a noi italiani. Parlo di una approccio pragmatico al vino in perfetto stile Mba. Metodologia open minded, che non si ferma al vino ma lo valuta tenendo conto del consumatore, messo al centro, e del mercato. Il vino viene contestualizzato e si parla tenendo in considerazione le problematiche di marketing. Il loro approccio d’analisi è totalmente diverso da quello che applichiamo. Noi entriamo nei dettagli del vino, lo valutiamo secondo il criterio buono/cattivo e non pensiamo agli obiettivi. Adottare per quei giorni la loro filosofia di analisi ci ha messo nelle condizioni di capire il giusto messaggio da dare ai consumatori. Questa forma mentis è quella che ci manca per proporre i nostri vini e affrontare il mercato.
Siamo stati impegnati, per la maggior parte del tempo, in degustazioni alla cieca assaggiando di tutto, dai vini da sei euro allo scaffale alle etichette più importanti, dai vini cileni e australiani a quelli toscani, piemontesi e della Sicilia. E devo dire che ci siamo davvero divertiti, staccando anche la spina. E’ stato un momento di confronto tra di noi. Abbiamo partecipato con grande concentrazione e trasporto. I moduli si sono suddivisi in parti teoriche e parti pratiche, spaziando dalle bollicine, ai vini fermi fino ai fortificati, approfondendo la storia dello Cherry e del Porto e si è parlato anche di Marsala.
E’ stato utile apprendere come potere analizzare un vino con tempi più ridotti. Secondo il loro metodo si va per esclusioni. Faccio un esempio. Se guardi una varietà che ha colore intenso si può già escludere che sia Pinot Noir, Nerello Mascalese o Nebbiolo, o se senti certi tipi di odori si possono già escludere certe varietà. E poi abbiamo visto la differenza nell’esporre le opinioni. Noi facciamo tanti preamboli nel costruire concetti su di un vino, alla fine invece è importante esprimere opinioni che siano ben chiare, giuste, che non rimangano nel vago. In fondo, noi produttori, da studenti, ci siamo messi in discussione.
Il Master of Wine è di poche parole, utilizza quelle efficaci. E’ quello che insegnano ai corsi di economia e marketing. La sintesi è l’efficacia stessa del messaggio. E facendo paragoni con il loro metodo, ho constatato che alla fine noi parliamo con noi stessi e non con il mondo. Certo il nostro territorio è caratterizzato dalla complessità. Complessità di territori. Vantiamo il numero più alto di denominazioni e il più esteso patrimonio varietale, quindi semplificare tutto può essere difficile. Ma si può trovare un compromesso e mediare la nostra ricchezza anche con questo linguaggio. Usandone, appunto, uno meno presuntuoso. E’ l’insegnamento che ho tratto da questa esperienza.
La figura del Master of Wine, o tale modo di concepire e comunicare il vino, è l’apporto chiave nella realtà di un’impresa. Per me sono le personalità più preparate che possano esistere. Averle in Italia farebbe bene al nostro vino e alla nostra economia”.
* Produttore di vino
(Testo raccolto da Manuela Laiacona)