Riceviamo e volentieri pubblichiamo
di Roberto Rubino*
I pastori sardi, dopo una lunga lotta, hanno raggiunto un accordo. Ora è la volta dei produttori di grano della Sicilia. Anche in questo caso, è storia di una rabbia annunciata. Il prezzo del grano è bloccato sui 17 centesimi e gli agricoltori non riescono a intravvedere spiragli per il futuro. I due settori sono accomunati dalla stessa causa, anche se gli effetti sono diversi. La crisi del settore non è dovuta al prezzo basso, ma al prezzo unico, uguale per tutti. Se il prezzo è unico, lo sarà anche la qualità. Tanto che il grano è tutto miscelato. Ma se la qualità non è simile, allora nessuno riceve un prezzo allineato alla specifica qualità. Vero che il mondo del grano privilegia la proteina così come il mondo del latte da molta importanza a grasso e proteine, ma questi parametri non hanno a che fare con la qualità. Infatti, le paste che costano molto hanno quasi sempre un basso contenuto di proteina, mentre quelle che costano poco hanno le proteine ai massimi livelli. Non solo. Noi ci aspettiamo da un alimento che esso abbia odore e sapore. Si dice spesso che oggi il pane non ha più profumi, e di sapore manco a parlarne. Perché? Se un fornaio vuole produrre un pane che abbia profumi che grano deve scegliere? E il sapore? Ecco, l’effetto più deleterio della politica del prezzo unico è essenzialmente culturale. Non dominiamo le molecole responsabili dell’odore e del sapore e i fattori che ne determinano il livello. Tutto è casuale, sia la qualità e sia la non qualità!
Le analogie con il latte finiscono qui. Nel mondo dell’allevamento il prezzo unico ha avuto come effetto obbligato la deriva della qualità: per rientrare nei costi l’allevatore deve aumentare la produzione con evidenti ripercussioni sul livello qualitativo. Con un latte di questo tipo l’industria casearia fa formaggi di media e bassa qualità a prezzi anch’essi bassi. Nel mondo del grano l’industria del pane e della pasta ha fatto miracoli. Non sapendo come gestire la materia prima, si sono inventati il forno a legna, il lievito madre, la trafilatura in bronzo, l’essicazione lenta. Ma parliamo sempre di tecnica di lavorazione e mai del grano che, come tutte le materie prime, è alla base della qualità. E i primi a lievitare sono stati i prezzi, tanto che oggi ci sono paste da quaranta centesimi e paste da 5-6 euro. Ma se l’aroma viene dal grano, e se tutto il grano è miscelato, o se anche parliamo di singole partite ma noi non ci poniamo questo problema, allora le differenze fra i pani e le paste sono minime, nonostante l’enorme forbice di prezzo.
Questa è la situazione attuale. Il problema del settore è il prezzo unico, mentre i produttori dovrebbero pretendere un prezzo legato al livello qualitativo. E’ possibile? Vediamo.
Innanzitutto quali sono le molecole responsabili dell’aroma. L’odore è determinato da sostanze volatili quali i terpeni, le aldeidi, i chetoni, ecc. Il sapore, il corpo, la persistenza e la complessità dipendono dai fenoli. E tutte queste molecole sono contenute per la gran parte nell’aleurone, nella parte periferica del chicco. A onor del vero devo aggiungere che gli scienziati sono fermi alla proteina e al massimo alle sostanze volatili, anche se comunque non ne conoscono i fattori che ne determinano il contenuto. Ma il chicco di grano si comporta come l’acino d’uva. Il corpo del vino sono i fenoli e il loro livello dipende dalle rese per ettaro. Uno dei pochi che si è preoccupato di studiare la relazione fra fenoli e sapore è un ricercatore canadese, Allison Langfried (2013). L’obiettivo della sua ricerca è stato quello di caratterizzare le proprietà sensoriali di alcuni acidi fenolici comunemente presenti nei cereali integrali, per capire come questi potrebbero influenzare il sapore. Utilizzando un panel descrittivo, l’autore ha dimostrato che gli acidi ferulico e vanillico suscitano una combinazione di molteplici attributi sensoriali: acido, amaro, astringente. Per entrambi gli acidi, l’intensità di percezione è aumentata all’aumentare della concentrazione.
Quindi le molecole responsabili dell’aroma sono i volatili e i fenoli e il tutto dipende dalla resa per ettaro. Naturalmente non è questa la sede per entrare nei dettagli del suolo, del clima, ecc. E torniamo al confronto con il latte. Dicevamo che nel mondo del latte la qualità si è abbassata sensibilmente negli ultimi decenni. La stessa cosa non è successa con il grano, anzi. Visto il prezzo basso, molti hanno abbandonato i concimi. La Sicilia è una regione siccitosa, il grano non viene irrigato e,quindi, le rese sono basse. Certamente il grano è di grande qualità. Ma siccome noi siamo fermi alla proteina, non sappiamo cosa abbiamo in mano. Per venirne fuori ci siamo inventati le varietà locali, la pessima qualità del grano che viene dall’estero, il blocco dei porti. Torniamo alle varietà. Se varietà significa adattamento a un determinato ambiente, nulla questio, se con la varietà si vuole accreditare un concetto di superiorità, allora si sente puzza di “razzismo”. Noi possiamo avere bottiglie di Nero D’Avola o di Sangiovese da un euro e da centinaia di euro. Ogni vitigno è diverso ma tutti hanno le stesse molecole. Ed è così anche per il grano e tutte le altre materie prime. Se la Tumminia è buona, lo sarà perché ha basse rese, ma è la resa che fa la qualità non la varietà. È soprattutto un fatto culturale. Se insistiamo con le varietà, passa il concetto che è la varierà che fa la qualità. E noi non sapremo mai come fare un pane o una pasta profumati e che abbiano sapore.
Se così è, se la qualità dipende dalla resa, allora il pagamento del grano è di una semplicità estrema. Anche perché le rese sono documentabili. E secondo me questo metodo troverebbe piacevole accoglienza anche presso i pastai. Oggi, per differenziare l’offerta brancolano nel buio. Basterebbe che mettessero in etichetta la resa per ettaro e il messaggio sarebbe chiaro, lineare e scientificamente inattaccabile. Non ci sono altre strade, quelle percorse sappiamo già dove portano: scioperi, blocchi, e qualità a propria insaputa.
*presidente Anfosc