di Gaia Gaja*
Riceviamo e volentieri pubblichiamo un'ampia sintesi dell'intervento di Gaia Gaja al Vinexpo di Bordeaux dedicato alle conseguenze dei cambiamenti climatici sulla vitivinicoltura dal titolo: “Fire and Rain: Climate Change and the Wine Industry”.
“Gli effetti del cambiamento climatico spiegato dal professor John Holdren sono ben noti a chi ogni giorno ha i piedi nei vigneti. Difficile negare che le cause siano anche antropiche ( monocultura predominante ed ambizioni smodate che hanno portato a scelte eccessive quali rese troppo basse e densità piante per ettaro eccessive e non idonee al contesto). E’ sempre e ancor più importante sostenere la ricerca ed investire maggiori risorse per individuare
a) varietà di viti che non necessitino di trattamenti antiparassitari. Per ottenere le quali, ai metodi collaudati del passato (incroci e ibridi) va affiancato il genoma editing: processo attraverso il quale si preleva da una vite che lo possiede il gene della resistenza al parassita per trasferirlo nel genoma della vite che non lo possiede, e rendere pertanto anch’essa resistente.
b) di portainnesti che meglio si adattino alle differenti condizioni pedoclimatiche.
La vera sfida si gioca ancora e sempre nel vigneto, cercando di sviluppare una viticultura resiliente, (biodinamica, biologica, sostenibile, e in grado di tutelare la biodiversità…), ovvero capace di mettere in atto azioni attive di adattamento e contrasto nei confronti delle avversità ( maggiore aggressività dei parassiti, maggiore imprevedibilità climatica, erosione ed impoverimento del suolo, maggiore stress di altra natura). Una viticultura resiliente avanza congiuntamente ad un sempre minore uso di prodotti chimici.
Si rafforza così un sentimento nuovo: la sensibilità per la tutela dell’ambiente, per una viticoltura più pulita e per metodi di coltivazione meno invasivi. Tenendo sempre presente che nessuno ha la verità in tasca, e che i metodi di viticoltura resiliente sono differenti a seconda delle condizioni pedoclimatiche delle diverse aree viticole e delle attitudini varietali. Dal momento che ciò comporta maggiori costi, dovrebbero essere per primi i produttori di vini premium, che godono di maggiori ritorni economici, a portare avanti l’adozione di una tale viticultura. Mentre ai produttori dei “vini da tavola” (quelli per intenderci che nei supermercati vendono su scaffale a meno di 3 euro a bottiglia) non si può chiedere altro che convertire la lotta ai parassiti, dal metodo convenzionale (attraverso il quale si fa abuso della chimica) al metodo di lotta integrata. Questa è la sfida vera.
Negli ultimi 30 anni la viticoltura ha corso anche troppo in favore della meccanizzazione, al fine di contenere i costi del lavoro manuale; per una viticoltura resiliente occorre imparare a fare dei passi indietro. Se non si affronta il problema nel vigneto, il rischio è di maggiori manipolazioni e correzioni in cantina, ed infine una banalizzazione del vino. Qualcosa va detto anche sull’irrigazione del vigneto, alla base della quale c’è una questione etica. Il vino ha perso sempre più la vocazione alimentare per assumere quella edonistica di un bene di lusso. E’ lusso, in qualsiasi fascia di prezzo, godere di beni che non siano strettamente necessari. Dal momento che l’acqua è sempre più destinata a diventare un bene prezioso, il suo impiego in agricoltura va riservato principalmente alla produzione di prodotti di uso alimentare ed in viticoltura va limitato all’irrigazione di soccorso e non destinato a incrementare la quantità di uva per ettaro”.
* produttrice di vino a Barbaresco, Piemonte, Italia