di Daniele Cernilli, Doctor Wine
Il successo travolgente e internazionale del Prosecco sta mutando in modo profondo gran parte della viticoltura del Nord-Est dell’Italia.
Siamo arrivati a produrre mezzo miliardo di bottiglie, praticamente tutta la pianura friulano-veneta sta velocemente diventando un’enorme distesa di vigne coltivate a glera e il fenomeno non accenna a fermarsi. Basti pensare che esistono richieste di nuovi impianti tali che se fossero date tutte le concessioni, cosa peraltro impossibile per le leggi comunitarie, gli ettari piantati a vigneto in Friuli e in Veneto quasi raddoppierebbero nel giro di tre anni. E si arriverebbe facilmente a superare il miliardo di bottiglie di Prosecco. Ora, da un lato tutto ciò è una manna per i viticoltori di quelle zone, che riescono a guadagnare, netti, anche 30.000 euro ad ettaro, in virtù di una legislazione che nei fatti defiscalizza il mondo dell’agricoltura, anche al di là di quanto sarebbe ragionevole e giusto. Dall’altro apre uno scenario che in un periodo di media prospettiva potrebbe anche essere pericoloso. Consideriamo innanzi tutto che l’export di Prosecco, che avviene con un prezzo medio di circa tre euro la bottiglia, è diretto in gran parte verso la Gran Bretagna e gli Stati Uniti dove ha preso il posto di molti Cava e rappresenta una sorta di “Champagne popolare”. Con la Brexit le nuvole si addensano sul futuro del mercato britannico e lo stesso si potrebbe dire con le “uscite” filo protezionistiche dell’amministrazione Trump negli States. In più il rischio della monocultura è forte, e lo abbiamo già sperimentato alcuni decenni fa con il Lambrusco, che fu un grandissimo successo negli Stati Uniti, ma che poi, con la caduta di quel mercato, ha vissuto periodi di crisi profonda.
E ancora, la qualità media di molta parte di quel Prosecco è veramente discutibile. Tranne che nelle zone a Docg, Conegliano/Valdobbiadene e Asolo, sono ben pochi i Prosecco degni di nota da parte di chi ami davvero quella tipologia. Per lo più siamo di fronte a spumantini neutri, molto simili fra loro, tanto da somigliare più a delle bevande industriali che a veri e propri vini. Piacciono molto, per ora, e quindi le obiezioni hanno poco senso. Sottolineare i rischi invece sì. Non me lo auguro, ma se per caso l’export iniziasse a flettere sotto l’effetto di un eccesso di produzione, che determinerebbe anche un decremento dei prezzi per uve e bottiglie, allora sarebbero guai seri. E non mi pare di avere ancora letto analisi condivisibili in questo senso. Ci si divide fra chi dileggia il fenomeno, sottovalutando che è proprio il Prosecco a sostenere l’export del vino italiano in questo periodo, altro che “eccellenze”, e chi invece intona canti trionfali senza prevedere i rischi. Una situazione molto preoccupante, insomma.