di Daniele Cernilli, Doctor Wine
Strano il mondo del vino e del cibo. Molti esaltano tecniche di cucina moderne e rivoluzionarie, come il sottovuoto, la cucina molecolare e compagnia cantando, poi quando si passa al vino ogni pratica enologica diventa una sorta di bersaglio per le critiche più feroci, come se non si trattasse di tecniche di carattere prevalentemente fisico, e non chimico come qualcuno adombra.
C’è insomma una parte del pubblico, spesso male informata da più fonti, che demonizza il ruolo dell’enologia e degli enologi nella produzione vitivinicola. Accade quasi solo in Italia, ma la cosa è più diffusa di quanto ci si immagina e determina una visione del vino paradossale e sostanzialmente antiscientifica. Se c’è un aspetto da sottolineare, è che proprio attraverso la ricerca enologica si è riuscito negli ultimi anni a limitare in modo sensibilissimo l’intervento della chimica nella produzione di vino. I livelli di anidride solforosa aggiunta, per fare un esempio, sono meno della metà di quanto accadeva un paio di decenni fa, e questo è dovuto, oltre che alla ricerca di una maggiore sanità delle uve, anche allo sviluppo di tecniche quali il controllo della temperatura in fermentazione, la grande attenzione verso i fenomeni di ossidazione, con l’utilizzo di pratiche di fermentazione in riduzione, e anche l’utilizzo di lieviti adeguati, che non determinano blocchi fermentativi con conseguente aumento dell’acidità volatile.
Sono solo alcuni aspetti fra i più macroscopici, ma anche i più immediatamente comprensibili per un pubblico di non addetti ai lavori. Lo stesso che invece a volte viene portato a considerare tutto questo come il male assoluto, e ogni intervento enologico come una forzatura e una “costruzione” del vino tale che lo renderebbe qualcosa di “non naturale”. La conseguenza è che gli “enologi”, intendendo con questa definizione qualcosa di negativo e in qualche modo pericoloso, sono coloro che snaturano il vino autentico per farne qualcosa di industriale, poco salubre e di nessun interesse organolettico.
Ora, non nego che ci possano essere esagerazioni, paragonabili all’accanimento terapeutico in medicina, ma la realtà dei fatti è davvero molto diversa da quanto appare, e la maggior parte degli enologi opera proprio per evitare che ossidazioni, acidità volatili, fermentazioni anomale, possano realmente uniformare e snaturare sul serio le caratteristiche più emblematiche di ogni vino. Conoscendone molti, di enologi, dico, so bene che la maggiore preoccupazione che hanno non è quella di applicare pedissequamente dei protocolli standardizzati, ma di interpretare la materia prima che di volta in volta si trovano a dover trasformare. Fare vino è un processo guidato, non semplicemente un fenomeno naturale, e demonizzare chi cerca di gestirlo al meglio è semplicemente un’assurdità. Da sola la fermentazione degli zuccheri dell’uva porta alla produzione di un cattivo aceto.