Per il critico del più importante quotidiano al mondo è ormai il momento che chi beve sappia quali sono le sostanze utilizzate dai produttori. “Esattamente come per il cibo la gente deve cominciare a chiedere e ad informarsi. L'etichetta è fondamentale”
(Eric Asimov, l'esperto del vino del NYT)
“Volete scegliere il vino migliore? Ripetete con me: il vino è cibo”.
Lo dice Eric Asimov, il critico ed esperto di vino per il New York Times, uno dei giornali più importanti del mondo. Il giornalista, dalle colonne del giornale americano, parte da un quesito che gli viene posto: come faccio ad essere sicuro di stare bevendo un vino buono? “Posso suggerire libri, guide, riviste – spiega Asimov – ma arranco nella marea di testi disponibili. C'è una soluzione più semplice. Basta ricordare che il vino è cibo”. Per Asimov a molti sembrerà assurdo, “ma il vino – spiega – è parte integrante di un pasto. E per me, un modo semplice per capire il vino, per elevare la qualità di ciò che stiamo consumando, è quello di trattare il vino come se fosse un altro punto fermo della tavola, proprio come si farebbe con il pane o la carne che di solito mangiamo”. E per questo, spiega Asimov, la querelle sull'etichetta diventa quanto mai fondamentale.
Negli ultimi decenni, gli americani sono diventati molto più consapevoli degli ingredienti dei loro pasti. Stanno attenti alle coltivazioni biologiche o a chilometro zero. Di che tipo di allevamento stiamo parlando. Insomma, si informano. Eppure nel mondo del vino non è ancora così. “Cosa accadrebbe – dice Asimov – se gli americani si interessassero al percorso di vinificazione? I vini non sono tutti semplici espressione di una cultura agricola. Sono vini prodotti in catene di montaggio, con coltivazioni industriali, chimica, tecnologie. La maggior parte delle persone non si preoccupa della complessità di quello che consumano, finché la cosa ha un buon sapore. “Ma per fortuna – scrive Asimov – una minoranza comincia a preoccuparsi di ciò che mangia, tanto che sempre di più stanno avendo successo le botteghe dei piccoli artigiani, come agricoltori, macellai e panettieri. Pensare al vino allo stesso modo, sarebbe un primo passo significativo verso il miglioramento della qualità del vino stesso che si beve e il piacere che si prova bevendolo”.
Secondo la legge federale americana, un vino non può essere chiamato biologico se non è ottenuto da uve che sono state certificate come biologiche, è stato fermentato con lievito biologico e non ha l'anidride solforosa aggiunta. Pochissimi vini possono essere chiamati organici, anche se molti sono realizzati con uve da agricoltura biologica. Che da solo può offrire indizi per la qualità del vino. Sia l'uva biologica che quella allevata in maniera industriale possono essere trattate in cantina con grandi artifici e poco riguardo per la produzione di un prodotto “vero”. In più, molti piccoli agricoltori che producono biologico, non fanno certifcare il proprio lavoro per motivi burocratici e di costi. Quindi, le etichette non sono sempre significative.
“Ecco perché – dice Asimov- ancora più importante di etichette che recano la scritta “biologico” avrebbe un maggior senso di trasparenza raccontare il modo in cui le uve sono coltivate e il vino è fatto. Gli alimenti trasformati sono tenuti a elencare tutti gli ingredienti utilizzati durante la produzione. Perché il vino dovrebbe essere immune da tali requisiti di etichettatura? Molte decisioni del consumatore di scegliere un cibo piuttosto che un altro, sono prese dopo aver letto l'etichetta degli ingredienti. Non dovremmo desiderare di sapere cosa c'è nel nostro vino?”
L'industria del vino ha a lungo sostenuto che i consumatori avrebbero trovato le etichette degli ingredienti confuse o incomprensibili. Questo può essere vero, ma è irrilevante. Chi di noi conosce tutti gli ingredienti dei cereali per la colazione? Ma con etichette complete, coloro che vogliono evitare gli ingredienti artificiali o sospetti, hanno la possibilità di farlo. E devono avere la stessa opportunità con il vino.
“E potete scommettere che una volta che la gente comincerà a fare domande su ingredienti e processi coinvolti nella vinificazione – dice Asimov – l'industria inizierà a occuparsi di più di questo gruppo di consumatori istruiti. Insomma, pensare al vino come alimento, influenzerà il nostro modo di scegliere il vino stesso”. Per questo dice Asimov, serve che a vendere il vino sia gente molto più qualificata: “Serve un negozio gestito da devoti appassionati che fanno gran parte del lavoro al posto dei clienti. Un bravo negoziante che, al pari di un fornaio o di un macellaio, ha seguito un rigoroso processo di selezione prima di comprare la merce per proporla ai consumatori. Sapendo che ci si trova in un buon negozio di vini, il cliente avrà più fiducia ad acquistare. Trattare il vino come alimento lo rende più accessibile. E porta alla stessa conclusione: per bere vino migliore è necessario trovare una fonte di vino migliore”.
C.d.G.