di Stefania Petrotta
L’ultima volta che abbiamo incontrato Marco Ambrosino, chef del “28 posti” di Milano, è stata prima che il mondo si fermasse al cospetto del Covid19.
Eravamo a un appuntamento “A cena da Charme”, la rassegna delle cene d’autore presso “Charme, il design concept store alcamese, in provincia di Trapani. Erano passati due anni da quando eravamo stati a trovarlo a casa sua, al 28 posti di Milano (leggi questo articolo>). Lì eravamo rimasti talmente colpiti dalla dalla sua cucina, che lo avevamo fortemente voluto alla scorsa edizione del Taormina Gourmet durante la quale ci aveva fatto conoscere i suoi “Spaghettini, acqua di pasta fermentata, miso di ceci” (leggi questo articolo>). Dopo quattro mesi avevamo assaggiato di nuovo questo piatto, e ci aveva sorpreso quanto la ricetta fosse “cresciuta”, grazie al percorso che Ambrosino non si stanca di portare avanti. Quella che risultava un’acidità spinta, probabilmente per il non pieno controllo del processo, è diventata la spinta di un piatto che, se non se ne conoscesse l’origine, si direbbe a base di formaggio.
Cos’è dunque cambiato in questi due anni nella sua cucina? Ne abbiamo approfittato per farci raccontare il pensiero che guida la sua cucina e che non sarà un virus a modificare. “In realtà quello che succede ancora nel tempo è di indagare, attraverso uno studio al contempo tecnico e concettuale, su degli assunti della nostra cucina. Fino a qualche anno fa l’obiettivo era realizzare un ottimo piatto, oggi vogliamo arrivare all’origine delle cose e alle cause che hanno spinto l’uomo a fare determinate scelte, quindi ci interessano aspetti più propriamente antropologici. Ci siamo resi conto che tutte le cose che noi abbiamo nella cucina tradizionale, sedimentate nell’arco del tempo, nascono quasi sempre da necessità ed è dallo studio della necessità che nasce l’ingegno. In particolare, ci siamo concentrati sui cereali e sui prodotti da essi derivati perché sono fortemente correlati all’evoluzione umana. Specie al sud dove la civiltà rurale fino a 30 anni fa si alimentava quasi esclusivamente di pane e cereali”.
Esempio concreto di questo ragionamento è il dolce dal nome eloquente: “Tumminia”. Una base di pane raffermo, inoculato con una spora e trattato a 55 gradi per una settimana, il cui risultato dona un aroma di funghi secchi, al quale si accompagna il gelato al cioccolato di Tumminia preparato col cacao che si ottiene trattando il grano attraverso, in sequenza, una fermentazione alcolica, una fermentazione lattica e un’ossidazione. Su questi viene posto il caramello di Tumminia che, grazie all’inoculamento di aspergillus luchiensis, produce umori simili a quelli degli agrumi e della mela verde. A conclusione, spuma di pane raffermo, sale e un goccio d’olio extra vergine di oliva.
“Nella mia cucina c’è tanto della Sicilia, se non altro come studio, perché ritengo che i siciliani siano i custodi dell’identità mediterranea e il racconto del Mediterraneo è al centro del nostro lavoro. Questa narrazione nasce un po’ dal fatto che io stesso sono un uomo del Mediterraneo, essendo nato a Procida, ma soprattutto perché il Mediterraneo è un insieme di cose bellissime da raccontare. Oggi, per varie vicissitudini politiche, viene costantemente raccontato come un inferno, ma in realtà abbiamo talmente tanto ancora da dire e soprattutto abbiamo talmente tanto da interpretare che sarebbe impensabile fermarci qui. Noi proviamo a raccontarlo attraverso una cucina che ci auguriamo possa essere universale, stimolante, interlocutoria e che possa dare il proprio contributo”.
“C’è anche da dire che il nostro lavoro è agevolato dai mezzi che abbiamo oggi e questo ci da una grossa occasione. Oggi, infatti, grazie anche ai mezzi di comunicazione, riusciamo a partecipare a un dibattito mondiale sul cibo attraverso i contenuti che pubblichiamo sui social, ma anche grazie al facile reperimento delle informazioni e alla possibilità dell’immediato confronto con altri colleghi. Ciò ci investe di una grossa responsabilità relativamente all’utilizzo di questi mezzi, ma ci offre anche l’opportunità che dobbiamo assolutamente cogliere al fine di far parte di una rete mondiale di scambio e di divulgazione”.