di Daniele Cernilli, DoctorWine
Stiamo concludendo assaggi, lavoro redazionale, correzione di bozze per la Guida Essenziale ai Vini d’Italia edizione 2023, la nona da quella del 2015, e una cosa sta venendo fuori in modo abbastanza chiaro.
L’Italia non è solo un Paese per grandi vini rossi. Nonostante i cambiamenti climatici, nonostante la siccità, nonostante tutto, troviamo sempre più vini bianchi davvero formidabili, e non solo nel Nord Est, dove ci sono più o meno sempre stati, ma anche in altre regioni. Alcuni Verdicchio formidabili, ottimi Pecorino e Trebbiano fra Marche e Abruzzo, diverse Vernaccia di San Gimignano, alcuni Vermentino e Pigato liguri. Addirittura in Sicilia, da vigneti collocati fra i 600 e i 1.000 metri di altezza, parecchi Etna Bianco e persino alcuni Catarratto davvero sorprendenti. Poi Greco, Fiano, Falanghina in Campania, Vermentino in Sardegna e anche, più raramente, sulla costa toscana. Anche qualche imprevedibile bianco piemontese, Arneis, Gavi, Derthona Timorasso, Erbaluce. Ovviamente ci sono molti vini da vitigni alloctoni, Chardonnay, Sauvignon, con il quale ce la caviamo bene, qualche raro Riesling, soprattutto in Alto Adige, ma talvolta in Trentino e in Piemonte.
Le tecniche in vigna e in cantina sono migliorate, senza dubbio, ma secondo me certi vitigni un po’ tardivi e altri coltivati in vigne molto alte, stanno dando risultati sorprendenti proprio in conseguenza del riscaldamento globale. Una piccola buona notizia all’interno di un problema enorme, ovviamente, ma che in qualche modo fa capire le ragioni di quanto dicevo. Sta di fatto che, contrariamente a quanto normalmente viene sostenuto da gran parte della critica internazionale, per la quale l’Italia non sarebbe un posto da grandi bianchi, accade, e da diversi anni, esattamente il contrario. Speriamo che se ne facciano una ragione.