di Daniele Cernilli, DoctorWine
Ci sono perplessità e diverse polemiche in giro sull’argomento del cosiddetto “vino” senza alcool la cui produzione, che con diversi nomi già esiste, è oggetto di discussione in ambito europeo per trovarne una regolamentazione più specifica.
Si tratta nei fatti di vini ai quali con procedure particolari e del tutto invasive è stato tolta la componente alcolica. Detta così fa un po’ rabbrividire e ci si potrebbe chiedere se non fosse bastato un sano e semplice succo d’uva non fermentato al posto di un simile artificio. Il fatto è che il vino è anche uno status symbol per molti e lo è anche per coloro che per motivi diversi, anche religiosi, non possono o non vogliono bere bevande alcoliche, però vogliono avere la sensazione di accedere a un consumo “alto” che magari si possono permettere per possibilità economiche. Quindi il “semplice” succo d’uva non basta. Ci vuole qualcosa che ricordi la cultura del vino senza far loro infrangere precetti religiosi o regole salutistiche. Questa è la ragione principale e cioè che esiste un mercato disposto a pagare cifre considerevoli per qualcosa che ricordi da vicino il vino, ma che vino non è, o quanto meno non lo è più.
Perché la definizione “vino” è riservata per legge a quelle bevande a base di mosto di uva fermentato che abbiano una gradazione alcolica, svolta o potenziale, di almeno 8 gradi, al di sotto della quale non si può definire come tale. Si tratta del minimo sindacale, insomma, ma è un minimo che esiste e che quindi esclude il fatto che il “vino” senza alcool si possa chiamare vino, appunto. Mio padre, che ha quasi 99 anni, ogni tanto racconta che dopo le sanzioni che l’Italia si beccò dalla Società delle Nazioni per la guerra coloniale in Etiopia, il caffè divenne rarissimo e venne sostituito con una polvere a base di cicoria tostata. Nessuno si sognava di chiamarlo “caffè”, tanto che il termine “cicoria” divenne un modo ironico per salutarsi a quell’epoca, sostituendo la parola “ciao”, tanto era popolare. Ovviamente c’era una bella differenza fra il “caffè caffè” come si diceva allora, e quell’intruglio, il “surrogato”, come si definiva all’epoca, a base di cicoria. Credo che in questo caso la situazione sia paragonabile.