Quando mi sono ritrovata di fronte a questa foto, scattata dal giornalista Giovanni Franco, ho provato molte emozioni, tante immagini sono scorse nella mia mente e mi si è presentato un mondo. Un mondo generoso, pieno di profumi, amore, affetto e tanto significato.
Ho nuovamente fatto uno dei miei viaggi dimensionali… Innumerevoli infatti sono i ricordi legati al rito sacro dell’estratto di pomodoro, detto “strattu” o “astrattu “. Ho osservato con attenzione quella mano e inevitabilmente ho ricordato mia nonna Graziella mentre con maestria e grazia immerge la sua mano, di cui ricordo ogni linea, ogni ruga, la sua forma, le sue dita, nella salsa, ripetendo quel gesto rotatorio in modo preciso, mescolando e spalmando il passato di pomodoro ad arte sui “tavoloni” di legno appositamente creati per accogliere quella distesa di sugo salato e infine tirando via il prezioso passato dalla mano con un gesto altrettanto preciso e deciso. Era pura poesia.
Le giunture del legno erano riempite da pezzi di stoffa e la consistenza del legno era particolare, come particolari erano le giornate scelte nel mese di luglio, non giugno, non agosto, ma luglio per procedere al magico e sacro rito. Era così che lo spiazzo di fronte casa in campagna veniva occupato da una sequenza di tavole in legno cosparse di preziosa salsa salata… Giganteschi pianali rossi.
Il giorno scelto per fare “lu strattu” era automaticamente un giorno di festa, i nonni infatti sarebbero rimasti per l’intera giornata in campagna da noi, avremmo pranzato tutti insieme e noi ragazzini avremmo assistito e partecipato a quella magia. Era d’obbligo immergere di tanto in tanto l’indice in quel mare di pomodoro ed era altrettanto scontato sentire il richiamo della nonna che pretendeva rispetto per il suo “strattu “! Qualche volta ci chiedeva con voce ferma e severa: “non è che hai le tue cose? Perché se si, non devi toccare la salsa…”! Io: “ no nonna! Stai tranquilla .” La vestizione della nonna non era meno importante per me perché quando le vedevo indossare il cappello di paglia con l’ampia visiera, provavo gioia e tenerezza ma ero anche divertita da quell’immagine e lei che era molto intelligente e ironica faceva sempre la battuta : “ lu viri chi sugnu bedda, paru n’amiricana…” ovviamente scattavano le risate…
La nonna, che era chiarissima, si proteggeva dai raggi caldissimi del sole che comunque a fine giornata le avrebbero colorato di rosso le spalle; il suo prendisole a fiori non era da meno, era leggero e comodo e lei per me era l’immagine del focolare domestico, un luogo sicuro in cui c’era tutto quello che si può desiderare. L’amore che provo per mia nonna Graziella è immenso. Mia nonna Graziella applicava un severissimo criterio in tutto quello che faceva e infatti non si limitava a spalmare la salsa sul legno, né a mescolarla, no! Lei si sedeva in veranda e attendeva che il sole facesse il suo dovere attraverso l’evaporazione dell’acqua che con quel caldo evaporava molto velocemente
“restringendo” il sugo. A volte c’era così caldo che evaporavamo anche noi… Ma il suo attendere era attento perché non si allontanava mai, faceva da sentinella seguendo passo passo tutti i movimenti del prezioso prodotto fino alla fine, quando da 7/8 grandi tavoloni spalmati di sugo, il tutto si riduceva a 1 solo vassoio di densissimo prodotto a base di pomodoro e sale il cui colore era rosso porpora e il cui gusto era un concentrato di bontà, amore e dedizione. Il ruolo di mio nonno Totò non era meno importante, non era il ruolo centrale ma il nonno era comunque fondamentale nelle manovre di passaggio del prodotto da un tavolone all’altro… “Turè, aiutami” e nonno era agli ordini.
Silvia Bentivegna