di Daniele Cernilli, DoctorWine
Lo scorso anno sulla nostra Guida Essenziale ai Vini d’Italia abbiamo premiato come miglior Vino Dolce dell’anno un vino che era tutto fuorché dolce.
Si trattava del Vecchio Samperi Marco de Bartoli Perpetuo Quarantennale, prodotto dalla cantina fondata da Marco De Bartoli a Marsala in provincia di Trapani e che a nostro parere è uno dei più grandi vini ossidativi del mondo. Non dolce, perciò, ma ottenuto con tecniche antiche e particolari, in questo caso messe a punto da Marco De Bartoli in persona, nelle quali il procedimento e l’origine diventano un tutt’uno. La stessa cosa si potrebbe dire per i grandi Marsala Vergine, quelli di Florio in testa, o di famose Vernaccia di Oristano, come quella di Contini, o della Malvasia di Bosa di Columbu. Tutti “non dolci”, e che farebbero parte di una categoria specifica, ma che vengono assimilati ai vini dolci perché poi alla fine si bevono a fine pasto, magari abbinandoli ai dessert o ai formaggi stagionati, come accade ai loro colleghi che invece contengono residui zuccherini anche abbondanti. Sono i vini ossidativi, come ricordavo prima, come gli Sherry, o Xeres, o Jerez, e sono talvolta davvero straordinari.
Durante l’ultimo concorso 5Stars – The Book, organizzato a Verona da Stevie Kim per il Vinitaly International, ho fatto parte della commissione finale, quella che approvava o respingeva le proposte fatte dai diversi panel di assaggio. Con me, e con altri giudici come Robert Joseph, Gabriele Gorelli, Bernard Burtschy e Caro Maurer, c’era anche Pedro Ballestrero Torres, leggendario Master of Wine spagnolo, che ha sostenuto l’esigenza di non sottovalutare, e di conseguenza di premiare, proprio alcuni vini che potevano essere considerati “ossidativi”. Sulle pubblicazioni del suo Paese, del resto, i giudizi più positivi sono assegnati proprio a quei vini, quindi per Pedro era naturale schierarsi a difesa dei loro “pendant” italiani.
Da noi però c’è stato e c’è tuttora un problema, che risale prevalentemente a come il Marsala è stato trattato in passato da alcuni suoi artefici, tanto che la sua produzione si è ridotta in modo drammatico. È un peccato, perché quei vini che citavo fanno parte a tutti gli effetti della tradizione italiana più autentica. Sono nei fatti degli orange wine, sono frutto di tecniche molto poco invasive, tanto che si potrebbero definire “naturali”, quindi avrebbero delle caratteristiche tali da renderli interessanti per tutti coloro che amano quei vini. Invece stanno un po’ cadendo nel dimenticatoio, tranne alcune nobili eccezioni, e questo secondo me è un vero peccato.