di Daniele Cernilli, Doctor Wine
“Dammi un vino che puzza”. L’ho sentito con le mie orecchie in un wine bar, la richiesta era fatta da un giovane appassionato al proprietario che, sorridendo, gli ha servito un bicchiere di un bianco opalescente e dal colore giallo carico.
Dietro una richiesta del genere c’è un atteggiamento preciso, “alternativo”, che vuole sottolineare una distanza con i vini “convenzionali” e probabilmente con i vini dei padri. Perché i figli non bevono i vini dei loro padri. Così come non ascoltano la stessa musica, non leggono le stesse cose e con le stesse modalità. Il compianto sociologo Gianni Statera teorizzava il conflitto generazionale come motore dei movimenti del ’68, Sigmund Freud ha scritto un magistrale saggio dal titolo Totem e Tabù che tratta anche di questi argomenti. Nel vino la protesta e la presa di distanze passa attraverso i “vini che puzzano”, che non sono molto diversi da quelli che bevevano non i padri, ma i nonni e i bisnonni. Quelli che Veronelli chiamava “vini contadini”, insomma, e che prescindevano dalla moderna enologia e da una viticoltura molto intensiva e specializzata.
Ma non finisce qui. I distinguo prendono anche spunto dall’eccesso di terminologie gergali che si sono usate negli anni, da un elitarismo insopportabile che ha dimenticato che il vino è anche, soprattutto, qualcosa che dà piacere ed emoziona, e non soltanto un modo per esercitare una sorta di narcisismo da super esperti, di leadership “alcolica” che francamente allontana chi cerca solo del sano edonismo. Recuperare il senso più autentico del vino passa anche attraverso “i vini che puzzano”, insomma. Almeno per alcuni. Ma è un fenomeno che va compreso e non semplicemente irriso, come sento talvolta fare. Se poi a questo ci si aggiunge che quei vini sono quasi sempre frutto di una dichiarata “naturalità” della produzione, il gioco è fatto. Quei vini sono quelli da preferire, non sono amati dai padri, rispettano l’ambiente, e se “puzzano” questo è un titolo di merito e non un difetto.
Magari sono pieni di acetaldeide, che è ben più pericolosa dei solfiti, ma tanto chi lo sa? Hanno un’immagine positiva comunque agli occhi e ai palati di molti giovani, e poi non costano così tanto come alcuni “borghesissimi” vini dei padri. È una moda? Certamente sì, ma la moda ha a che fare con scelte e comportamenti diffusi in determinati periodi e fra determinati gruppi culturali. Quindi fa parte degli accadimenti, bisogna prenderne atto e non semplicemente scandalizzarsi.