(Daniele Cernilli – ph Vincenzo Ganci)
di Daniele Cernilli, Doctor Wine
Non c’è molto di nuovo o di sorprendente. Uno degli sport preferiti in Italia, oltre all’autofustigazione e all’esterofilia, è quello di fare “di tutta l’erba un fascio”, o, meglio ancora, di “buttar via il bambino con l’acqua sporca del bagnetto”.
Due proverbi saggi, popolari, ma nati in altri tempi. La cosa vale anche per settori che ci riguardano, e in questo periodo che precede l’uscita delle maggiori guide dei vini, riguarda anche loro. Non contano più, il web le ha relegate a un ruolo minore, quasi inesistente, i premi sono assegnati agli amici o a chi paga. Affermazioni che si sentono di continuo, dette con il compiacimento di chi sa tutto, tutto ha scoperto e denuncia il malaffare.
Ora, io non voglio negare a priori che qualcuno intenda il ruolo di assaggiatore per le guide in senso improprio, anche solo come comportamento nei confronti dei produttori. Non voglio neanche negare eccessi di visione mercantile, chiamiamoli così, da parte di qualche casa editrice. Però c’è anche un rovescio della medaglia, rappresentato da chi ha interesse nello screditare la critica per motivi che sono altrettanto discutibili.
Tentare di sostituire una comunicazione tecnicamente attrezzata, tendenzialmente indipendente e onesta con quella che propongono siti di vendita o social dove possono postare tutti, anche chi, nascosto da un nickname, ha interessi specifici nel settore, è qualcosa di addirittura più negativo rispetto alla poca trasparenza che talvolta la critica manifesta.
Con quella di quest’anno sono 28 le guide che ho contribuito a fare, quasi sempre con compiti direttivi. So come si è lavorato, quale sia stato l’impegno e la passione che molte persone hanno messo nel lavoro di catalogazione e di valutazione, quante domeniche e quanti giorni di ferie siano stati presi o utilizzati per andare in giro a visitare aziende, assaggiare, conoscere, quasi sempre a spese proprie. So quale patrimonio di esperienza e di conoscenza si sia formato in questi anni da parte dei principali autori delle maggiori guide, che in altri Paesi, in Francia, in Gran Bretagna principalmente, sono considerati professionisti di estrema competenza, e da noi rischiano di apparire solo come dei potenziali scrocconi. Perciò, se la più importante rivista americana chiede pubblicità, organizza grandi manifestazioni, comportandosi come quasi tutte le pubblicazioni specializzate al mondo, va tutto bene. Se, invece, questo lo fa qualcuno in Italia, apriti cielo.
Certo, alcune esagerazioni ci sono state, ho ricordato altrove che noi di DoctorWine non intendiamo diventare dei tour operator che organizzano viaggi per produttori all’estero, determinando un rapporto un po’ scivoloso fra critica e promozione. Facciamo anche noi tre manifestazioni l’anno, per presentare la guida e le nostre attività editoriali, ma non con altri scopi. A buon intenditor…
Però una lancia nei confronti di chi si accolla un lavoro impegnativo e realizza ogni anno una grande inchiesta sul vino italiano vorrei spezzarla, a scanso di equivoci. E penso che l’auspicabile riscoperta di una maggiore trasparenza, di una indiscutibile competenza e di una chiara deontologia professionale, possano essere orgogliosamente condivise da tutti loro e da tutti noi.
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