“Che senso avrebbe ricostruire tutto come prima? Ci è data l’opportunità di fare un cambio di paradigma”.
Parole pronunciate da Carlo Petrini, fondatore e presidente di Slow Food, intervistato da Gazza Golosa. Petrini fa un po’ il punto della situazione, parla del coronavirus e dell’emergenza sanitaria, ma racconta anche il futuro, almeno secondo lui. “Viviamo alla giornata, ma dobbiamo anche prepararci ai cambiamenti”, dice. E allora eccolo il futuro, secondo Petrini: “Ci sarà un ridimensionamento delle politiche liberiste – dice – Confido in un futuro più sostenibile, in tasselli di nuova economia da non misurare necessariamente attraverso il Pil. Che senso avrebbe ricostruire tutto come prima? Ci è data l’opportunità di fare un cambio di paradigma. Di reimpostare un sistema che dia più spazio ai territori e alle comunità. Penso che le tematiche della sostenibilità e della sovranità alimentare diventeranno all’ordine del giorno”. E poi la nuova politica nella produzione del cibo: “Non si può più pensare che il cibo lo produce uno solo per tutti. Abbiamo rubato spazio alla campagna, bisognerà riprenderselo per mettere in moto un’economia primaria al servizio delle comunità locali”.
E il suo pensiero corre anche alle piccole botteghe, che Petrini definì patrimonio culturale. “Bisogna fare uno sforzo di fantasia – dice – Io penso a una versione moderna delle botteghe, gestite da giovani. Con l’accesso a Internet. con tutta una serie di servizi, dove magari si può ritirare la pensione. Ci vogliono nuove idee. A salvarci sarà la diversità”. E sul futuro dei ristotanti, come pensa ripartiranno? “Dobbiamo prepararci a un paio di anni più tranquilli. Non ripartiremo a razzo con gli stessi fatturati perché non c’è la bacchetta magica. Dobbiamo prepararci a una strada in salita cercando prima di tutto di mettere in sicurezza i lavoratori. Noi per esempio siamo un’università privata, dovremo mettere una parte del personale in cassa integrazione mentre gli altri dovranno tenere in piedi la baracca. Ho chiesto però di fare un fondo comune per integrare il reddito di chi sarà in cassa integrazione. Ecco questo è il senso di comunità di cui parlo, di una dimensione più umana, di solidarietà. Ognuno nel suo piccolo può fare comunità: nel vicinato, nel quartiere, nel paese”. Ma alla fine come ne usciremo? “Non come prima, ma meglio di prima”.
C.d.G.