Abbiamo chiesto a Francesco Sottile, docente universitario e figura di spicco del coordinamento dei presidî di Slow Food un’analisi sugli scenari futuri per l’agricoltura e i nostri stili di vita. Ecco l’articolo
di Francesco Sottile*
La vita lenta di questi giorni ci da tempo per pensare, per riflettere. Incredibile che debba arrivare una pandemia per darsi un po’ di tempo, ma evidentemente così siamo diventati nel nostro modo di essere donne e uomini dei paesi ad elevato sviluppo. A casa siamo diventati tutti cuochi, pasticcieri, panettieri, cioè stiamo mettendo in evidenza che l’effetto del tempo libero si rivela inesorabilmente legato al cibo. E tutti siamo stuzzicati all’idea di un consumo che tenga conto della nostra salute, di una dieta equilibrata. Un’emergenza sanitaria come questa non era messa in conto, qualcuno vanta premonizioni e previsioni fatte con ragionamenti più o meno razionali, ma sfido chi tra noi abbia mai previsto o anche solo immaginato che tutto ciò potesse accadere. Eppure oggi siamo tutti fermi, oggi stiamo a casa e sappiamo che stare a casa serve a proteggere noi stessi ma soprattutto i nostri cari, i nostri amici e conoscenti, i nostri colleghi, tutti coloro che sono incredibilmente impegnati in prima linea nel contrasto al contagio e nel contrasto alla malattia.
Nel frattempo contiamo i danni del nostro sistema economico, a cominciare dall’agricoltura che, pur alla ribalta come sistema di produzione fondamentale per la vita dei cittadini, sta pagando un prezzo altissimo. Il sistema florovivaistico è allo stremo, il turismo agricolo in un tunnel, l’allevamento in stallo, la produzione di piccola scala, già di per sé sempre in lotta per rimanere in un alveo di sostenibilità economica, sta facendo ogni sforzo per elaborare strade diverse che evitino una crisi inesorabile. Se è vero che la distribuzione organizzata sta permettendo alle famiglie di vivere serenamente questo periodo di emergenza è anche vero che tutti quei piccoli produttori, innumerevoli, che affidavano alle molteplici occasioni dei mercati locali l’equilibrio economico aziendale si ritrovano spaesati e alla ricerca immediata di alternative. Perché non si può attendere. Molti dicono che ci rialzeremo più forti di prima, a livello globale. Bene, ne sono convinto e anche contento; mi preoccupa però capire verso dove orienteremo questa forza, con quali obiettivi, con quali priorità. Se la forza servirà a riprendere il cammino voluto e tenuto negli ultimi cinquant’anni, allora probabilmente avremo perso l’occasione per comprendere che ci si può fermare, si può rallentare, si può provare ad orientare il nostro stile di vita verso un ritmo più sostenibile, in termini di consumi e quindi di produzione.
Il sistema produttivo di piccola scala, quello che da forza alla nostra agricoltura in tutto il bacino del Mediterraneo (e non solo), ma che non è stato mai al centro di politiche comunitarie in grado di dare giusto impulso e adeguata consistenza, oggi è stremato da poche settimane di interruzione di rapporti commerciali. Si contano già cali di fatturato generalizzati che si spostano dal 40 al 90 %, a seconda dei settori e dei periodi. Il sistema industriale, fortemente e prioritariamente ancorato alla distribuzione organizzata e globale, sta resistendo, probabilmente fatica in alcuni casi a star dietro ad una richiesta fortemente concentrata, ma certamente vive un momento di centralità che rischia di avere un effetto anche negativo sulla qualità dei nostri consumi. Dobbiamo assolutamente fermarci a riflettere e provare a capire se il mondo del consumo e della produzione ha voglia, oggi, di orientare la forza verso obiettivi diversi. Si, gli obiettivi. Nell’Agenda 2030, l’obiettivo di sviluppo sostenibile numero 12 (SDGs) si intitola “Produzione e Consumo Responsabile”. Forse è questo che dobbiamo provare ad alimentare in questi giorni, la responsabilità di ciascuno di noi che non può essere solo del produttore e non può essere solo del consumatore. Ci vuole un’alleanza, ci vuole una condivisione di obiettivi e l’unico obiettivo che oggi può mettere insieme produttore e consumatore si chiama ‘sostenibilità’. Riappropriandoci, però, una volta per tutte, del vero significato di questa parola, ovvero la capacità di utilizzare le risorse che oggi abbiamo a disposizione in modo da preservarne pari disponibilità per le future generazioni.
L’industrializzazione dell’agricoltura sta condizionando l’equilibrio tra gli esseri viventi. Il perdurare degli interventi di deforestazione, solo per fare un esempio, non sta solo contribuendo a far innalzare la concentrazione di anidride carbonica ma impedisce molto spesso la regolare vita degli animali selvatici e degli insetti, gli uni spesso costretti a spostarsi alla ricerca di luoghi minimamente ospitali, gli altri spesso costretti a soccombere con effetti devastanti sull’ecosistema. Allo stesso modo la diffusione delle monocolture, l’uso indiscriminato di chimica a sostegno della produzione. Ma siamo rimasti quasi indifferenti al perdurare di questo processo negativo, indipendentemente dalle relazioni incredibilmente dirette con la crisi climatica che stiamo vivendo passando, proprio in questi giorni, dalla siccità alle alluvioni con un assaggio di gelate primaverili. Ma fin quando non si manifesti qualcosa in grado di mettere a repentaglio la nostra vita quotidiana in modo significativo noi non reagiamo. Oggi c’è il coronavirus, temibile e contagioso, che sta colpendo la nostra vita perché colpisce noi o in nostri affetti o perché determina una infinita quantità di limitazioni che non permettono di continuare in modo regolare le nostre attività. Ma sono proprio queste limitazioni, e la nostra reazione conseguente, a suscitare una riflessione. Riusciamo davvero a limitarci seriamente, e in modo coerente con il problema, soltanto quando il problema mette a rischio la nostra quotidianità e la nostra sopravvivenza in modo immediato? Non riusciamo a comprendere che lo stesso rischio di sopravvivenza è oggi vissuto, in modo lento e silenzioso, dal nostro pianeta attraverso uno smodato stile di vita? Forse sarebbe il caso indirizzare questi giorni verso una riflessione più attenta su cosa ci aspetta dopo questa emergenza, non solo come contingenza del momento della ripresa ma provando a capire che tipo di ripresa vogliamo, verso dove vogliamo andare.
Dobbiamo cambiare stile di vita. E cambiando stile di vita sosteniamo un diverso modo di produrre. Dobbiamo comprendere che parlare di conservazione degli ecosistemi oggi significa parlare di agroecologia, significa sostenere qualsiasi modello di produzione sostenibile (biologica, biodinamica, simbiotica, sinergica, rigenerativa, in permacoltura, ecc ecc), qualsiasi modello in grado di rispettare le risorse naturali. E noi consumatori dobbiamo tornare a modelli di consumo non antichi ma ragionevoli. Rispettare la stagionalità dei prodotti non è uno slogan, è un modo che ci permette di aiutare a favorire modelli di produzione sostenibili, legati anche al rafforzamento del valore delle produzioni di prossimità che non devono viaggiare da un continente all’altro. La tecnologia, e quindi la ricerca scientifica che ci sta alle spalle, è fondamentale in agricoltura, va messa a valore, ma non per permetterci di decidere di produrre tutto in ogni momento dell’anno (attraverso le plastiche, la chimica per la difesa e la fertilizzazione, uso smodato dell’acqua, intensificazione a carico del suolo,…) ma per migliorare la relazione tra agricoltore e campagna, tra allevatore e trasformazione. E non possiamo immaginare che la soluzione sia una tecnologia che si sviluppi per adattare i vegetali al clima che cambia invece di profondere ogni sforzo affinché si mitighi il cambiamento climatico.
Non siamo disposti, purtroppo, a fermarci oggi a ragionare su questi temi così come ci stiamo fermando a causa del virus che giustamente ci impaurisce. Ma se solo ci rendessimo conto che gli stessi effetti del virus, lentamente ma inesorabilmente, saranno causati dal nostro modo di agire insostenibile, forse capiremmo che è nostra responsabilità orientare ogni sforzo verso obiettivi diversi, esattamente come è nostra responsabilità oggi rimanere a casa. La responsabilità per il futuro del pianeta verrà dall’alleanza tra noi consumatori quotidiani e il sistema agricolo che ci nutre, insieme a una buona dose di avveduta politica agricola nazionale e comunitaria. Insieme possiamo fare la differenza, questa volta non solo per tornare al nostro lavoro quotidiano e riprendere le nostre relazioni sociali ma anche per garantire un po’ di futuro in più ai nostri figli, alle nostre campagne, ai nostri agricoltori. Abbiamo la possibilità di farlo, dobbiamo solo orientare bene le nostre energie quotidiane e oggi, nella nostra vita lenta, abbiamo il tempo per rifletterci e decidere come agire domani. Come, non se.
*Docente di Biodiversità e Qualità del Sistema agroalimentare nel Dipartimento di Architettura dell’Università di Palermo e Componente del Comitato Esecutivo di Slow Food Italia