Il caso si arricchisce di un nuovo testo di Nino Aiello che trovate alla fine dell'articolo pubblicato qualche giorno fa a completamento della sua posizione su questa vicenda.
(Nino Aiello)
AGGIORNAMENTO 3 FEBBRAIO 2020 – In data odierna Nino Aiello ci ha inviato un altro testo a completamento della vicenda. Lo potete leggere alla fine del testo.
Riceviamo e pubblichiamo
Lo scorso ottobre Nino Aiello, capo area per la Sicilia della Guida ai Ristoranti de L’Espresso è stato licenziato dal direttore Enzo Vizzari. Il provvedimento innescato da una scheda contestata riguardante il ristorante Consiglio di Sicilia. Aiello, su sua richiesta, ci ha inviato un testo in cui racconta la sua versione dei fatti.
di Nino Aiello
“Sono stato capoarea e ispettore per la Sicilia della Guida dei Ristoranti de L’Espresso per oltre 25 anni. Fino allo scorso 19 ottobre, giorno in cui sono stato licenziato via Facebook. Ho deciso di scrivere quest’articolo. Per completezza di informazione e massima trasparenza. E per non lasciare in sospeso grumi di dubbi e ambiguità, fra detto e non detto. Prendendo la parola per ultimo, dopo che l’hanno fatto gli altri. Ecco come è andata.
L’ANTEFATTO
Nel periodo che precede la chiusura della Guida avevo il problema di recensire il “Consiglio di Sicilia” di Scicli, a Donnalucata, in provincia di Ragusa. Gli altri ispettori erano indisponibili e io non sapevo che fare. Potevo lasciare perdere. Il locale però ci avrebbe rimesso 50-100 mila euro di fatturato (valore aggiunto annuo stimato della presenza in una prestigiosa guida come quella de l’Espresso). Mentre mi lambiccavo arrivò provvidenziale una telefonata di Eleonora Cozzella, ispettrice di passaggio in Sicilia. Mi racconta di avere pranzato al “Consiglio di Sicilia”, di essersi trovata molto bene e di averne apprezzato, oltre che la gradevolissima atmosfera, pure la buona cucina, fresca, saporita, mediterranea. Insomma un giudizio positivo, assolutamente condiviso da me. Si offre di scriverne la scheda e io ne sono più che contento. Aggiunge però che attribuirà al locale un bel 15/20 e quindi un “Cappello”, che nella “piramide” dei voti Espresso indica un consistente indice di complessità/difficoltà dell’offerta. Faccio presente che sarebbe difficile giustificare questa “promozione” per una cucina che, pur stuzzicante e appetitosa, ha in carta sarde a beccafico, spaghetti al pomodoro, spatola farcita, gelo di limone. Buona, anzi buonissima, ma fuori dai criteri assegnati dalla Direzione, a meno di non volere demolire l’attuale scala dei valori (avrei dovuto dare, per onestà, il “Cappello” ad altri 30-35 locali). La invitai comunque a scrivere una bella scheda e a mandarmela. La risposta fu gelida e piccata: “Allora non ti scrivo niente, non mi interessa!”. Ci rimasi francamente molto male, ma tant’è.
Accantonai la questione. Alla vigilia della chiusura (era il 16 giugno) il problema si ripropose. Che fare? Danneggiare il “Consiglio di Sicilia” facendo saltare la scheda? Per giunta con la visita fatta da Eleonora Cozzella e da me condivisa in pieno, tranne che nel voto? Esercitai da capoarea Sicilia il diritto-dovere di provvedere, secondo il principio di avocazione-sostituzione. Chiamai la signora Corradin (prenderà poi le distanze da me chiamandomi signor Aiello!), che conosco benissimo, le spiegai la situazione, chiesi un paio di piatti recenti e, se l’avesse avuto, anche una ricevuta (una mera “tecnicalità” per non bloccare il “sistema” informatico, sennò si ferma tutto e addio scheda; avrei potuto ovviare con un “ospite di terzi”, modalità tecnico-pratica che tutti gli autori possono adottare nei casi in cui la ricevuta/fattura non si può produrre). La signora Corradin aderì con slancio, elencò i piatti, più o meno quelli che conoscevo da anni (non siamo certo da Heinz Beck o da Massimo Bottura, che variano spesso le portate), e mi girò una ricevuta/pezzo di carta. Amen. Scrissi un pezzo lusinghiero, subito approvato dal Direttore. Non ci pensai più.
IL FATTO
La Guida dei Ristoranti de L’Espresso fu presentata a Firenze lunedì 14 ottobre. Per qualche giorno non successe niente, ma l’agognato mitico “Cappello” purtroppo non c’era. Il 18 ottobre, alle 3 del pomeriggio, parte a tamburo battente l’offensiva social (io non abito su Facebook). In un italiano studiato parola per parola, la signora Corradin prendendola alla lontana, fa sapere al mondo del suo meraviglioso universo: i viaggi, lo scrivere, il vivere a New York, del giovane, intelligente e bel marito, del ristorante che lui le ha regalato (la signora si astiene tassativamente dal cucinare); racconta della saggezza del filosofo Epitteto, ci rende noto che non legge le guide gastronomiche, di come tantissimi le abbiano chiesto del mancato “Cappello”, dispiaciuti, sdegnati e schiumanti di rabbia (mah, il mondo è proprio il regno degli sfaccendati!). Continua descrivendo la mission del “Consiglio di Sicilia”: occuparsi della felicità delle persone ai tavoli (“Missione compiuta – esclama – con successo e reciproca felicità”). Seguita poi da una versione dell’attuale tema globale del popolo versus le élite, tuonando sconvolta e indignata, da Giovanna d’Arco rediviva: ”L'establishment del giornalismo si occupa dell’establishment della ristorazione” (accipicchia!), lamentando che dello scouting delle legioni incalzanti del nuovo mondo di “panelle e crocchè” se ne occupi nei ritagli, se rimane tempo. Fra questi ameni e buffi svolazzi trova pure il modo di confessare una piccola debolezza (tutti ne abbiamo alla fine): quando faceva lo stesso lavoro mio aveva recensito 80 ristoranti esclusivamente per telefono (80, capperi!). Però si era fortemente vergognata.
Per la parte che più strettamente mi riguarda, ne parla all’interno della cortina fumogena di questa meravigliosa estasi pubblica, senza fare prudentemente nomi, neanche della Guida (attende che lo faccia qualche altro), rivela la telefonata di un ispettore, della ricevuta e così via. Al fine, irata e offesa, si lamenta di poche visite da parte mia, l’ispettore-fantasma. (Gli autori sono poco meno di cento, quattro fissi in Sicilia. Il suo locale è sempre stato – sempre – diligentemente visitato ogni anno sin dal 2013, anche da altri colleghi).
Evita accuratamente di dire che c’è appena stata Eleonora Cozzella (la quale scriverà un pezzo per Repubblica-Sapori del 5 giugno 2019 – prosa degna di una grande mistica del ‘600 – del crudo di mare, delle cozze gratinate, del gambero rosso, dell’insalatina di cedro, degli spaghetti taratatà, del “mitico” cannolo, “da standing ovation”). Evita soprattutto di dire che lei non conosce certo i parametri della “piramide” dei “Cappelli” della Guida (che riguardano – per tassativa indicazione di Vizzari, il Direttore, solo e soltanto la cucina). La signora non sa delle regole interne, dei meccanismi della Guida, però, invece di informarsi o provare a capire – magari rispettando il lavoro degli altri – spara a zero. E “intorbida le acque per farle sembrare profonde”: da lei vengono i grandi chef, la sua cantina (una come tante in Sicilia) è citata dai giornali stranieri, la felicità è certa e assicurata nel prezzo. Di conseguenza la nostra ristoratrice vuole e pretende il “Cappello”, senza se e senza ma, grottesca incredibile corifea della lotta del popolo bue contro l’establishment più perverso (proprio lei che – autentica espressione di establishment – occupa una intera puntata di “Otto e mezzo” per parlare delle sue amabili bagattelle con Philippe Daverio e Lilli Gruber!).
LE REAZIONI
Ci cascano in tanti visto che sui social io non sono operativo e non rispondo. Alcuni della stampa se ne vanno sul vago (scaltri e scafati intuiscono che qualcosa non quadra). Parla, impappinandosi, uno chef bravo ma stremato da una perenne “sindrome del complotto”, si esibisce uno scappato di casa (non in Guida) da sempre ferocemente litigato con la lingua italiana. Intervengono i “leoni da tastiera”, sempre pronti a dare addosso pur non sapendo e non comprendendo niente. La ristorazione siciliana tutta si produce in un eloquente assoluto e rumoroso silenzio.
Enzo Vizzari, Direttore delle Guide, sapientemente postato, mi manda una allarmata mail all’una del mattino. Io sono fuori Palermo e la vedo nella tarda mattinata.Torno a casa alle 3 del pomeriggio e lui mi chiama al telefono: afferma che quello che è successo non è ammissibile, si rifiuta tassativamente di ascoltare la mia versione dei fatti, non ne vuole parlare, e mi comunica che il rapporto di oltre 25 anni con la Guida è sciolto. Sono le 15,09. Pochi minuti dopo – le 15,28 – si collega su Facebook alla signora Corradin e al mondo e, profondendosi in incomprensibili scuse, fa sapere che io ho concluso la mia collaborazione con la Guida dei Ristoranti de L’Espresso facendo il mio nome e cognome, buttandolo in pasto alle feroci “belve da tastiera”.
Di notte gli scrivo un paio di pagine a chiarimento e rivelo tutti i fatti e i retroscena sottostanti ma – conosco il Capo – se ne esce con due battute. La “grande impostura” ha avuto pieno successo e la mia carriera all’Espresso, dopo oltre un quarto di secolo, è finita. Non posso fare a meno di notare che si è conclusa su Facebook, con nome e cognome (il “Boss” poteva evitarlo – non era necessario – almeno per eleganza), che non mi ha voluto fare esporre le ragioni sottese all’affaire (tante), che avrebbe dovuto/potuto fare un approfondimento, prendere del tempo. Invece ha deciso – chissà perché – in poche ore, non valutando i fatti, anzi rifiutandosi di conoscerli. Non avendo considerazione neanche per il mio impeccabile passato (mi ha sempre definito scherzosamente “il mio plenipotenziario in Sicilia”).
EPILOGO
Mi spiego questa giovanilistica avventatezza da social del più brillante e competente dei critici gastronomici europei come un segno dei tempi. E pure un segnale di altre cose: il bradisismo proprietario, che ha interessato le famiglie Agnelli, Elkann e De Benedetti, che lo ha forse turbato. Ci potrebbero essere state poi l’amarezza per la cancellazione della sua rubrica sul settimanale L’Espresso (un faro sulla ristorazione internazionale), e le ingiuste accuse di nepotismo riguardo ai suoi due figli che operano con successo nel settore food & wine, che l’hanno certo angustiato. E’ possibile che abbia espiato, senza colpe, il sostanziale flop della Guida ai Vini, che ha provato per lustri a competere inutilmente con l’omologa famosa Guida del Gambero Rosso. Può darsi che abbia pagato con queste indelicatezze un contesto confuso e in parte nebuloso, non chiaro. Potrebbe essere solo stanco, il tempo vola per tutti.
Per tornare alla mia vicenda, in sostanza non c’era proprio il merito della questione. E’ stata solo una montatura: la visita del locale era stata fatta da una ispettrice, la ricevuta era solo un fatto tecnico; mi sono limitato a esercitare le mie prerogative di capoarea, mi sono banalmente sostituito alla Cozzella, come era mia facoltà/potere. L’affascinante universo enogastronomico è una parte importante della mia vita. Mi diverto come il primo giorno. Continuerò a frequentare i ristoranti. Andando oggi più che mai fiero e a testa alta, vantandomi di non avere lasciato asservire la Guida de l’Espresso agli interessi di qualcuno, quelli che con astuta risolutezza pensavano di piegarla ai propri personali fini. Per un “Cappello”.
L'AGGIORNAMENTO DEL 3 FEBBRAIO 2020
Nel 1921 venne dato alle stampe un volumetto che diventerà una pietra miliare della speculazione filosofica: il Tractatus logico-philosophicus. E’ il testo più difficile, astruso e oscuro della storia del pensiero. Ma, come scrisse il Nobel Bertrand Russel, che ne curò la prefazione, “è un libro che nessun filosofo serio può impunemente ignorare”. Il suo autore, l’austriaco Ludwig Wittgenstein, prodigioso logico-matematico, per questo saggio di poche pregnanti pagine si contenderà proprio con il suo mentore Russel la palma di maggior filosofo del Novecento. Il testo, diviso in 7 proposizioni, ha nell’ultima quella più apparentemente semplice e comunque la più conosciuta. Vale la pena di riportarla: “Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere”(per pedanti e germanisti: “Wovon man nicht sprechen kann, darüber muss man schweigen”). La sua rilettura mi ha illuminato nella decifrazione concettuale delle coordinate logiche delle mia risibile vicenda gastronomica. Ho poi finalmente scoperto che Enzo Vizzari, oltre a essere un eminente enogastronomo, è anche un pensatore di valore, un seguace accanito del mio amato Ludwig Wittgenstein.
E infatti:
1 – Tace pervicacemente sul perché non ha voluto conoscere i fatti prima di decidere, rifiutandosi di ascoltare la mia versione (anzi rifiutando di ascoltarmi tout court). Eppure sarebbe pagato anche per questo.
2 – Si rifiuta di spiegare come mai non ha considerato che la vicenda, se fosse andata come la racconta la Corradin (e non è andata in quel modo) avrebbe avuto (ha avuto) la stessa ristoratrice come complice-corresponsabile (i giuristi parlano di “concorso”, “correità”: significa parimenti responsabile). Per giunta la tipa aveva financo esibito spavalda i suoi rilevanti precedenti, che avrebbero insospettito chiunque: la candita confessione urbi et orbi di 80 rumorose schede false (false senza virgolette) di sua mano quando faceva lo stesso nostro lavoro!
3 – Tace – il Direttore – il fatto che mi ha esposto senza ragione alla gogna mediatica senza che ce ne fosse stato bisogno (“come Salvini”, ha scritto crudamente qualcuno). Eppure io ero il suo fiduciario in Sicilia (prima pure di Raspelli), avevo garantito lui e il Gruppo per oltre un quarto di secolo senza scandali, “voci”, “mormorii”, forte del fattore che non ho interessi nel settore, ho sempre fatto altri mestieri, vivo piuttosto bene di mio e vado a testa alta, anche per la riconosciuta competenza e un certo distacco naturale dalle cose prosaiche (gli scandali nel comparto sono frequenti, e lui lo sa). Trascurabile il fatto che – in privato – ho ricevuto dalla ristorazione siciliana tutta un plebiscito di stima; e che lui – che non è il padrone della Guida (paga Gedi, diciamolo pure) – ha (aveva) il dovere/responsabilità di approfondire, conoscere, soppesare, valutare. Insomma di fare il suo mestiere, il Capo, il manager. Funzione per la quale è pagato bene, molto bene (contrariamente agli ispettori e capi area, autentici “morti di fame”e forse masochisti, che se sono bravi, al meglio non ci perdono!). E, dopo un’accurata analisi, decidere poi con buon senso, equilibrio, tatto. Sul solco dei valori fondanti di un Gruppo che ha al suo interno il prestigio degli Agnelli, gli Elkann, i De Benedetti, esempio di imprenditoria di alto profilo, laica, corretta, razionale, pure elegante e di gran gusto. Signorile, direi (da abbonato/lettore di una vita).
4 – Si rifiuta di capire (per un manager è grave, a Gedi non saranno felici) una cosa evidente anche per me che sino a 10 giorni fa non ero su Facebook: il popolo cyber – a prescindere dal merito della faccenda, verità/non verità – si è indignato per la brutalità e l’orribile deliberato cinismo con cui sono stato “licenziato”, per il modo. Per la totale mancanza di stile e di rispetto riguardo a una persona perbene quale io sono (fatelo dire a me che l’ho scoperto da poco, dalle centinaia di attestazioni di stima, tantissime in privato!), un collaboratore con oltre 25 anni di adamantina militanza Espresso e apprezzata competenza, di cui Vizzari si era fidato ciecamente sino a qualche ora prima del 19 ottobre e dopo alcune ore incredibilmente aveva messo alla porta, in modo avventato, senza gestire (aver saputo) la questione in modo civile. Dando inutilmente “scandalo”, fattore che in un Gruppo autorevole come Gedi dovrebbe essere la prima preoccupazione. E, in fondo, “giocando” con i quattrini/reputazione e la faccia di tutti gli altri.
Epperò esentandone assurdamente solo se stesso (in concreto “soltanto” un “dipendente”). Si poteva licenziare/rimuovere (legittimamente, volendo) senza fare nomi e chiudendo il caso con eleganza, discrezione e stile. Un passaggio fondamentale per comprendere meglio il pensiero (filosofico) del severo enogastronomo- fustigatore di costumi degli altri-moralista-pensatore lo si può ritrovare nella querelle – pura eterea dialettica filosofica – concernente le fatture/ricevute a corredo necessario di ogni scheda dei ristoranti della Guida.
I FATTI
A- Io asserisco che per un capo area, ma anche per un ispettore, il derogare potrebbe intendersi legittimamente – in certi limitati casi – come “tecnicalità”, ovvero mera modalità pratico/tecnica. E faccio presente che nella Guida 2020 – lui, Vizzari, sì proprio lui – di queste “tecnicalità” solo in Sicilia ne ha posto in essere 6 (sei). E non mi è lecito, da filosofo al bar, se non commettendo una scorrettezza logico-matematica, inferire niente per il resto d’Italia.
B – Il sapiente-enogastronomo piemontese si produce, a un certo punto del ragionamento, in una sottile interessante distinzione concettuale (gnoseologica? Boh.).
ECCOLA
1 – La mia unica ricevuta sub judice è certamente “falsa”, ontologicamente non può essere annoverata – giammai – fra le “tecnicalità”. E’ una acquisizione forte, indubitabile, assoluta (“ipse dixit”).
2 – Le sue 6 (sei) ricevute (solo per la Sicilia) sono invece – al contrario (“ipse dixit” bis) – mere “tecnicalità” A maggior ragione – argomenta rigoroso e inflessibile l’acuto maître à penser – perché sono state inserite “in sede di “revisione redazionale”. E qui la dialettica filosofica, come nell’immenso Hegel, fa un balzo in avanti e ha costretto un mangiapolpette come me a fare ricorso alla Treccani e al Devoto-Oli. La cui lettura mi ha lasciato perplesso, perché significa – più o meno – controllare-rivedere-vagliare meglio quanto già fatto (da altri) in un tempo precedente all’esame/verifica.
3 – Per chiarezza argomentativa e svelare l’arcano adesso è d’uopo andare alle schede fatte da Vizzari. In Sicilia sono 6 (sei), e ne analizzo (per ragioni di economia filosofica) solo 3, tenendo presente che nessuna ha comunque una ricevuta di ristoranti siciliani (ma è una “tecnicalità”, senza dubbio). Una – del Duomo di Ragusa Ibla – è stata “impiantata” il 13/2/2019 (da Vizzari), la ricevuta (del ristorante Trussardi alla Scala di Milano?) l’ha inserita sempre lui in pari data e poi – dopo di me, “validatore” necessario – ancora lui l’ha velocemente pubblicata. Un’altra – La Madia di Licata – è stata “impiantata” il 19/6/2019 (dal Capo), la ricevuta (identica a quella di cui sopra, Trussardi alla Scala di Milano?) l’ha inserita in pari data – ma è sempre una lapalissiana “tecnicalità”, ne sono certo – e poi ha fatto l’usuale trafila. La terza – Malvasia Capofaro di Salina – è stata a sua volta “impiantata” il 2/6/19, la ricevuta (ristorante Due Colombe, Corte Franca (BS)?) venne inserita in pari data, etc. etc. Un gagliardo scaricatore del mercato ortofrutticolo di Palermo si lascerebbe sfuggire – valutando superficialmente l’insieme, è ovvio, in relazione all’oscuro concetto di “revisione redazionale” – “Na sustanza mi pari ca iddu sa sunò e iddu sa cantò” ( Mi pare, in concreto che lui se la sia cantata e pure suonata)! E potrebbe pure chiedersi – da ingenuo e sempliciotto quale è – come è possibile che, in una Guida dei Ristoranti prestigiosa, per dei ristoranti siciliani – in sei casi (6) – ci siano solo ricevute del nord? Di fuori, del Continente. Una provocazione dei “polentoni”? Mah. “Arcani inestricabili della filosofia” (Platone, Franco Franchi?).
Qui mi confondo, non ho le basi culturali “giuste” per andare dietro e in profondità a queste rarefatte filosofiche disquisizioni. Oppure non ho capito che al ben pagato Enzo Vizzari – come a un sovrano medievale – tutto è concesso, agli altri mortali collaboratori della Guida, retribuiti con pochi stentati spiccioli, no. (“Rex in regno suo est imperator”) Ovviamente è un mio limite e me ne scuso, ritraendomi sommessamente.
P. S. Il mettermi finalmente di lato, il tornare nell’ombra che amo, mi consente , inspirato dal bel volume del professore di Estetica Nicola Perullo, “Del giudicar veloce e vacuo. Metacritica della critica gastronomica”, di dare almeno un consiglio riguardo a fatture e ricevute. Utile per l’avvenire. Una sorta di “Modesta proposta per prevenire”. Oggi vige la fatturazione elettronica e sarebbe bene che gli autori/collaboratori che fanno schede, tutti-tutti-tutti, producessero materiali fiscali idonei: fatture elettroniche quelli dotati di partita Iva, lo scontrino-parlante-intestato coloro che ne fossero eventualmente sprovvisti. Con l’avvertenza però (non si sa mai!) di far risultare sempre, senza eccezioni, l’elenco dei piatti (un primo, un secondo e via dicendo). Per evitare quanto può accadere, cioè che magari uno va a recensire uno “stellato” e ti porta la ricevuta di tre calici di Nero d’Avola, oppure di una fetta di torta o di un antipastino striminzito e basta, oppure di un trancio di pizza. Senza una pietanza! (è solo un esempio scolastico, suvvia). E i capi area, finalmente “normati” e felici, risponderebbero pure del merito e della “substantia” delle pezze d’appoggio.