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L'incontro

Teo Musso “Tanti progetti in futuro ma andrò sei mesi in ritiro per rivedere il concetto di birra artigianale”

19 Giugno 2013
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Teo Musso è un flusso inarrestabile.

 A leggere il libro nel quale Marco Drago racconta di lui, di come sia diventato il più famoso birraio d’Italia e di come abbia creato il birrificio Baladin, viene fuori una sensazione di speranza. Perché se sei nato nelle Langhe, in Piemonte, a pochi chilometri da Barolo, in una famiglia di vignaioli e riesci a mettere su l’impero della birra artigianale, vuol dire che per tutti c’è una speranza di realizzare i propri sogni. A patto però di essere visionari al punto giusto, sperimentatori al punto giusto, di avere una immaginazione che va più veloce del tempo  e di considerare gli ostacoli come delle opportunità. “Certo ci vuole anche fortuna – aggiunge il papà della birra Baladin – e non sentirsi mai arrivati”.

Abbiamo incontrato Teo Musso alla libreria Feltrinelli a Palermo in occasione della presentazione del libro “Baladin. La birra artigianale è tutta colpa di Teo”. Centocinquanta pagine, due anni di lavoro a stretto contatto con l’autore, Marco Drago, per riuscire a raccontare come nasce una passione/ossessione, quella per la birra artigianale e come Baladin sia diventata un’impresa di successo internazionale. Una storia con un finale tutto ancora da scrivere, dato che il vulcanico – o forse sarebbe meglio dire “lo spumeggiante” – Teo ha in serbo ancora numerosi progetti,  “come ad esempio chiudermi per sei mesi in isolamento per riflettere. Voglio rivedere completamente il concetto della birra artigianale”. E intanto pensa ad una birra in omaggio alla sua terza figlia, come già era accaduto per Isaac, birra dedicata al primo figlio e per Wyane, alla secondogenita. Dalle pagine del libro emerge chiarissima la sua idea di birra come prodotto della terra, il suo attaccamento a questa terra, soprattutto quella natia, dalla quale non ha mai voluto allontanarsi. E si trovano conferme a certe storie che avevano più il sapore di leggende metropolitane, come quella di un “birrodotto” scavato a Piozzo, il suo paese d’origine,  per trasferire la birra dal luogo di produzione del mosto alla cantina di fermentazione.

Carlo Petrini, il fondatore di Slow Food che ha curato la prefazione del libro, scrive a proposito di Teo Musso che “chi semina utopia raccoglie realtà”. Questo giovanotto degli anni settanta che all’inizio tutti consideravano un po’ matto innanzitutto per il suo aspetto un po’ fuori dai canoni convenzionali e, non meno, per le sue idee, le sue fissazioni, i suoi “tunnel”, come lui stesso ama definirli, oggi ha locali a Roma, Torino, New York. Da diciassette anni produce birre artigianali apprezzate in tutto il mondo, ha un birrificio ecofriendly improntato alla sostenibilità, dà lavoro ad un discreto numero di persone ed ha dimostrato che sa far bene il suo mestiere di “trovare l’armonia in cose che non dovrebbero stare insieme”. 

Clara Minissale