Nino Barraco, Arianna Occhipinti, Salvatore La Lumia, Giacomo Rallo
Biologici, biodinamici, convenzionali, differenze che non contano se il sistema vino si prefigge come obiettivi la qualità e la valorizzazione del territorio.
Questo il parere unanime espresso da alcuni protagonisti del mondo del vino al dibattito su governance e logistica nella filiera vitivinicola, tenutosi alla Facoltà di Agraria di Palermo. A moderare l’incontro sono stati Giancarlo Moschetti, presidente del corso di laurea di Enologia di Marsala e il docente Paolo Inglese coordinatore del Master di secondo livello in Logistica, governance e qualità nella filiera agroalimentare attivato presso Agraria.
Considerata superata la divisione a fazioni tra chi segue il dogma del naturale e chi i metodi standard di vinificazione i presenti hanno voluto affrontare il tema dell’indirizzo che l’imprenditoria del vino siciliana nella sua complessità, dal vigneron all’azienda da milioni di bottiglie, dovrebbe intraprendere nel prossimo futuro per difendere un sistema qualità. A farsi portavoce di questo intento quattro produttori: Giacomo Rallo, Salvatore La Lumia, Nino Barraco, Arianna Occhipinti. Generazioni e filosofie di produzione a confronto. Hanno tracciato prospettive e sollevato problematiche inerenti all’evoluzione dell’enologia e della viticoltura dell’Isola. In un teatro dove politica, finanziamenti, direttive comunitarie e leggi del mercato tracciano solchi ben precisi, i protagonisti del vino si chiedono quali siano le migliori risposte che l’intera filiera Sicilia può dare nel panorama italiano e internazionale a fronte anche di due tendenze in atto in quest’ultimo periodo: una maggiore presa di consapevolezza sulla questione ambientale e quindi sulla necessità di una diversa gestione del vigneto, e la coscienza di un’organizzazione aziendale che a partire dal vigneto risponda al requisito di coerenza a garanzia della qualità.
Ciascuno degli intervenuti ha raccontato i propri percorsi, le scommesse e le idee seguite. Case history diverse ma tutte accomunate dalla volontà di superare una mentalità sensibilie all’assistenzialismo e poco proiettata alla ricerca dell’innovazione e al fare sistema. “Dobbiamo superare il vittimismo siciliano, basta con questo rapporto drammatico con la nostra terra. Il problema di noi siciliani è che non ci applichiamo su ciò che ci circonda e che vale tanto – ha detto Rallo –. Siamo un Paese vocato alla trasformazione, da sempre. La sfida globale ce la giochiamo sulla qualità. Dobbiamo fare come i mercanti rinascimentali che andavano presso le corti europee a vendere cultura. E non possiamo in Italia fare affidamento sull’affare del Prosecco. Un caso di pura demagogia quando si dice che “fa le scarpe” allo Champagne”. Il territorio è stato il nodo centrale del dibattito. Arianna Occipinti ha riportato quello di Vittoria come caso virtuoso. “Abbiamo valorizzato i nostri terroir, abbiamo difeso la storia e la qualità dei nostri vini, creato una forza nel mercato, e adesso riusciamo a gratificare e a retribuire con qualcosa in più, rispetto alla media in Sicilia, i viticoltori”. Oltre alla problematica del prezzo delle uve si sono affrontate anche quelle nate da una gestione sbagliata degli aiuti comunitari, che starebbero vedendo come effetto più visibile e drammatico l’abbandono dei vigneti. “Se vediamo molti vigneti abbandonati, e vediamo in inverno il deserto più totale in questi campi, reduci di uno o magari più trattamenti chimici, allora non mi dispiaccio dell’abbandono”, ha affermato provocatoriamente Nino Barraco, vigneron a Marsala e “tuttologo” come si è definito, sintetizzando in questo termine la sua filosofia: un approccio di conoscenza a 360 gradi sulla produzione.
Sugli effetti positivi della vendemmia verde ha parlato Rosario Di Lorenzo, ordinario di Viticoltura alla Facoltà di Agraria, denunciando anche “che molti produttori non avrebbero compreso appieno la validità dell’intervento, considerandolo solo come una ennesimo “aiuto” dall’alto”. Lo stesso Di Lorenzo ha poi citato un altro caso virtuoso: la Champagne. “In un report recentemente pubblicato si è visto come in questa regione il reddito del produttore dell’uva abbia avuto la stessa oscillazione di quello di altri soggetti operanti nella filiera. C’è un sistema che in Francia cammina verso la stessa direzione e in modo coerente, a tutti i livelli”.
E sempre la Sicilia è stata messa a confronto con un altro territorio del vino italiano: il Trentino Alto Adige. “Venti anni fa i vigneti erano stati abbandonati in questa regione dalle nuove generazioni. La produzione di vino si limitava al boccione da due litri – ha raccontato Rallo -. Quindici anni fa si poi si cominciò a capire che bisognava lavorare sul territorio, a capire che investendo sulla bottiglia da 750cl ci si poteva assicurare redditività, in media circa 40mila euro per ettaro. Invece da noi nello stesso perido la gente prendeva soldi per distillare, una logica criminale, ci siamo imbevuti il cervello di questa realtà, ci abbiamo creduto. E oggi ci tocca recuperare. Un disastro se pensiamo a quanto sia difficile reperire la figura del viticultore”.
Altro tema fulcro della governance dell’impresa vitivinicola è la conoscenza. “La nuova generazione degli imprenditori deve sapere tutto. Non possiamo non conoscere a fondo ogni dinamica dell’azienda. La forza di un’azienda sta anche in questo. La conoscenza deve essere condivisa da tutti i soggetti che vi operano all’interno. Senza questo non si può comunicare, e quindi vendere al meglio il nostro territorio”, ha precisato La Lumia, new generation di una delle aziende storiche dell’agro licatese, Tenuta Barone La Lumia.
Durante la discussione si è anche toccato la Doc Sicilia. “Una risposta razionale degli imprenditori al mondo delle igt che ha visto moltiplivare la produzione siicliana più che in termini qualitativi in termini documentali – l’ha così definita Giacomo Rallo -. Quanti sono stati i i milioni di ettolitri di nostri vini come il Nero d’Avola dichiarati in documenti falsi che prendevano la via del Nord?”.
C.d.G.