La 69esima edizione del Congresso nazionale di assoenologi che si è svolta a San Patrignano ha guardato alla Francia.
Tre grandi territori, tre case history che dominano il gotha dell'enologia mondiale, la Borgogna, Bordeaux e la Champagne. Durante l'incontro che ha riunito enologi ed enotecnici da tutta Italia, il focus dedicato alla triade francese ha visto partecipare Thierry Gasco (direttore enologo di Pommery, Champagne), Nadine Gublin (consulente di grandi marchi di Borgogna) e Nicolas Lebecq (direttore tecnico a Bordeaux) alla sessione “La Francia: tre eccellenze raccontate dai loro enologi”.
“Gli attori economici del mondo dello Champagne -ha riferito Gasco– sono numerosi: 265 negozianti, 85 negozianti/distributori, 6151 aziende agricole solamente raccoglitrici e 45 cooperative. Le marche dello Champagne -ha aggiunto- sono 12.031, impossibile conoscerle tutte. Gli ettari della Aoc Champagne sono triplicati passando dagli 11mila ettari del 1950 agli attuali 33.572 . Parallelamente le bottiglie prodotte si sono decuplicate, passando dai 32 di 60 anni fa agli attuali 304milioni (comunque in flessione rispetto ai 322milioni di due anni fa)”. Se il sistema della Champagne funziona è anche per il ruolo che dal 1941 svolge il Civc, il comitato interprofessionale dei vini della Champagne, che difende gli interessi comuni dei viticoltori e delle grandi Maison di questa inimitabile produzione. “Il Civc difende gli interessi comuni, stabilisce le linee tecniche in vigneto e cantina che mirano a una politica di qualità costante sempre allineata verso l’alto, offre il suo aiuto nella gestione amministrativa, e protegge l’Aoc Champagne, la più antica di Francia (la denominazione risale al 1887e e la sua delimitazione precisa al 1927) anche con le campagne di promozione e di gestione dell’informazione”. Una regione che ha deciso sin da subito di puntare sull'alta qualità. “Il sistema dei controlli è invece articolato su: autocontrollo, controlli esterni e controlli interni gestiti dall’Inao (l’organismo francese di verifica delle Aoc) che vigila su un processo produttivo che prevede più di 60 tappe da rispettare, irrorando sanzioni articolate su tre livelli di gravità”.
La Borgogna, che si estende per 27.600 ettari distribuiti in un ampia fascia che va dalla zona di Chablis a Nord, culla di grandi Chardonnay, a quella di Le Maconnais a sud è il territorio che sta vivendo il suo periodo d'oro. “Da un lato -ha spiegato Nadine Gublin– il global warming sta producendo effetti positivi sul Pinot Noir, che riesce sempre a raggiungere la giusta maturazione fenolica, con vini ricchi di apprezzati tannini “setosi”, dall’altro la Borgogna sta riscuotendo importanti risultati commerciali con un aumento delle vendite soprattutto nei mercati dell’estremo oriente”. La Borgogna, tra le aree viticole francesi, è la più “dispersiva”. Il panorama ampelografico è il più semplice possibile, praticamente un monovitigno di Chardonnay nei bianchi e un forte monopolio tra i rossi del Pinot Noir. “Le denominazioni -ha descritto Gublin- sono suddivise su 4 differenti livelli con 100 diverse Aoc che costituiscono il 22% delle denominazioni francesi. Differenze che provocano una forte differenziazione di prezzo, che può crescere anche di dieci volte tra una denominazione comunale (40-45 € alla bottiglia) e la corrispondente Grands Crus (anche oltre i 400€)”. Senza questi contrasti la Borgogna è arrivata a produrre nel 2013 193 milioni di bottiglie, di cui la metà viene esportata, per un giro d’affari di 1,5 miliardi di euro, pari al 3%, in valore, degli scambi commerciali mondiali di vino.
“Un’esperienza -ha commentato Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi-, che mostra come la Francia continui per noi a costituire una sorta di “sorella maggiore”, un esempio da seguire, anche se non oso pensare a quali contrasti possano scaturire in Italia da questa differenziazione territoriale”.
Una dinamica simile (ma più in grande) è quella che si registra a Bordeaux, con 121.000 ettari vitati e 5,5 milioni di ettolitri prodotti ogni anno (in Francia superata solo da Languedoc-Roussillon con 173.000 ettari). A differenza delle altre due zone analizzate, è la terra delle grandi concentrazioni fondiarie degli Chateaux che costituendo un vero punto di forza commerciale. “Oggi il 55% della produzione -ha spiegato Nicolas Lebecq– resta in Francia, mentre il restante 45% va all’estero: di questo, una quota del 57% finisce nei Paesi extra Ue, ed il resto i Europa, per un giro d’affari che supera i 2,5 miliardi di euro l’anno”. Ossia, la metà dell’export italiano, ma con una sola, grande, denominazione.