Buongiorno Giuseppe, come trascorri le tue giornate in questo periodo?
“Blindato, ma operativo. Il lavoro da remoto ha certamente alcuni limiti, ma può avere grandi pregi. Sei più smart, veloce e in certe condizioni diventerà un modello per il futuro. Quasi quasi lavoro di più ma ho anche molto tempo per leggere e riflettere. Per i giornalisti come me che organizzano anche il lavoro degli altri è cambiato ben poco”.
Ma converrai che una redazione non puoi sostituirla con lo smart working. Sei d’accordo?
“Assolutamente sì. Una redazione non potrà essere mai sostituita da nulla. La fabbrica delle notizie ha bisogno del lavoro gomito a gomito. Serve il confronto costante. E spesso da questi confronti casuali nascono articoli, intuizioni, grandi idee. Incrociarsi nei corridoi per i giornalisti ha un senso. Con un video a distanza tutto è molto più freddo ma il lavoro non si ferma”.
Quella che segue è una lunga intervista a Giuseppe Cerasa. E’ un giornalista siciliano di lungo corso. Ha cominciato a L’Ora di Palermo. Poi trent’anni fa è finito a Roma, a La Repubblica, dove per molto tempo è stato il redattore capo della cronaca di Roma del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari. E in quelle pagine le incursioni legate al cibo e al vino non mancavano mai. Anzi, grazie a Cerasa, questo mondo si è contestualizzato con rubriche, interviste, un’attenzione giornalistica significativa in un quotidiano che certamente è nato e c’è per dare spazio soprattutto alla politica e a contesti più tradizionali. Poi da qualche anno la svolta. Perché con Cerasa è decollato il settore delle Guide dedicate alla gastronomia e al turismo, quasi sempre legate a un territorio o ad una suggestione. Con un marchio di fabbrica affidabile come Repubblica. Un grande successo.
Sei il direttore delle Guide de La Repubblica. Cosa sta accadendo? Avete ritardato l’uscita di alcune edizioni?
“Tutti stiamo risentendo del clima. Abbiamo rivisto il cronoprogramma delle uscite. Per esempio ai primi di aprile abbiamo anticipato la pubblicazione di sette guide che parlavano dei piatti delle nonne italiane, sette uscite per sette regioni diverse. Campania, Lazio, Toscana, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Puglia e la Tuscia, il territorio dell’alto Lazio confinante con l’Umbria. Abbiamo detto idealmente ai nostri lettori: siete a casa e allora riscoprite la buona cucina, quella delle nostre nonne, della nostra memoria. E sono andate molto bene. Non ce l’aspettavamo. E accanto a queste sono uscite quelle più tradizionali dedicate a Sicilia, Lombardia, Umbria e Liguria. Abbiamo adattato un format al momento introducendo alcune novità”.
Per esempio?
“Stiamo indicando nei locali chi fa delivery, take away e per esempio non indichiamo più i coperti. Ma più in generale sono diverse le logiche di pubblicazione perché stanno cambiando le dinamiche del mercato e le modalità di lettura. E quindi attenzione agli stili di vita, alle emozioni e quindi prodotti editoriali in base al nuovo regime di vita degli italiani”.
Rispetto alle vostre previsioni quante guide usciranno nel 2020?
“Rispetto alle previsioni abbiamo cambiato date di uscita, temi e focus ma su 54 guide ne faremo tra 50 e 52”.
Sono tante. Quindi continuerete a pubblicarle anche se andare al ristorante o andare in vacanza diventa adesso problematico?
“Pensiamo proprio di sì. Tieni conto che si tratta di linee di prodotto diverse. Per esempio abbiamo avviato da poco quella dedicata ai parchi naturali. L’Italia ha un patrimonio naturalistico pazzesco ma non ci sono strumenti di divulgazione che ti raccontano il parco con le giuste informazioni e poi i suggerimenti su dove dormire, cosa mangiare e così via. Ecco allora le nostre guide sul Cilento, il Pollino, il Vesuvio, il Parco d’Abruzzo, le Cinque Terre. Ne faremo altre cinque nel 2020. E ancora le città raccontate in modo nuovo con tante curiosità, i luoghi meno famosi, le sorprese. Abbiamo pubblicato Roma e Milano e poi toccherà a Torino, Firenze e Napoli. O ancora abbiamo pubblicato una guida dedicata ad alcuni quartieri di grandi città come Trastevere a Roma e altri quartieri di grandi città”.
Poi c’è il vino…
“Certo. Montepulciano, la Maremma, il Chianti. Ne faremo una dedicata alla Doc Roma. Non è tanto facile avere un vino doc con il nome di una capitale”.
È facile trovare tanti collaboratori che scrivono i testi, e sono anche bravi, affidabili e curiosi?
“Per fortuna sì. Abbiamo un vasto patrimonio di circa 200 tra giornalisti e persone che scrivono bene come un giornalista. Tutta gente per fortuna non contaminata da suggestioni marchettare. Attenzione, la marchetta è sempre dietro l’angolo. Ma il prodotto editoriale che pubblichiamo ha un marchio di fabbrica che si chiama Repubblica. Che va tutelato. E se ne scopriamo uno con le mani sporche di marmellata è fuori”.
Pochi giorni fa a Repubblica è cambiato tutto. Nuova proprietà, nuovo direttore… cambierà qualcosa per la pubblicazione delle Guide?
“I nuovi editori stanno sul pezzo. Conoscono le regole dell’economia virtuosa e sanno apprezzare tutte le iniziative che contribuiscono a dare valore alla reputazione del giornale e portano utili. Ho la speranza di fare meglio pur essendo molto grato agli editori che li hanno preceduti. Ci hanno dato fiducia. Ci hanno incoraggiato. E abbiamo fatto crescere le tessere di questo immenso mosaico che è Repubblica. Siamo soldati con un grande attaccamento alla propria casacca”.
Senti un po’. Come vedi le guide ai ristoranti quest’anno?
“Un bel guaio. Michelin, Gambero Rosso, L’Espresso, che fine faranno? Credo che quest’anno sarà un problema serio. Queste guide escono in autunno e vanno chiuse ai primi di luglio, ma a luglio non si saprà chi esce, chi apre, chi è chiuso, chi salta un turno. Molto complicato. Magari sapranno trovare il modo di adeguarsi ma hanno davanti ostacoli importanti. Non è una sciocchezza quello che è accaduto e che sta accadendo”.
Con le Guide di Repubblica ti senti di avere uno strumento editoriale più agile? Un po’ penso sia così…
“Sì. Forse hai ragione. La percezione è corretta. Senza togliere nulla a chi con le guide ha grande reputazione, prestigio e storia noi abbiamo un approccio molto giornalistico. Il racconto, le storie, i personaggi li gestiamo come si gestisce un giornale. Se è il caso si cambia menabò. Come in un quotidiano quando un fatto importante stravolge l’impaginazione che avevi programmato e ricominci con tempi strettissimi ma poi esci. Sempre. E garantiamo freschezza a un prodotto che il pubblico sta premiando. D’altra parte diversamente non saprei cosa fare. Viene fuori l’animo giornalistico. Militante, e bada, militante in senso professionale e non politico, da 43 anni nel mio caso”.
Per le guide ai vini cambia qualcosa?
“Il vino è un mondo a parte. È un mondo autoreferenziale. Il mondo del vino mi ricorda un detto siciliano. Posso dirlo?”.
Certo. Ne hai facoltà.
“In siciliano si dice “fatti a fama e va’ curcati”. Cioè, se diventi famoso puoi andare a dormire. Non hai bisogno di fare altro. Vivi di gloria. Ecco il vino e la narrazione del vino in Italia sono un poco così, vivono di altre regole. Però anche per loro il 2020 sarà problematico. All’Espresso la guida ai vini l’hanno dovuto assorbire dentro la Guida ai Ristoranti. Il Gambero Rosso vive molto di promozione soprattutto all’estero. Ma questo sarà un anno molto particolare per chi organizza eventi all’estero. Cosa fai, un banco di assaggio a New York? Quando? Come? Ecco, gli assaggi saranno un problema”.
Perché secondo te?
“Come li organizzi? A distanza? È saltato anche il Vinitaly che era l’occasione per conoscere molte novità, le nuove annate. Sarà un problema. E anche chi fa la guida ai vini come Slow Food con visite sul campo. Come farà? Magari trovano una soluzione. Però in tutto questo vedo anche qualcosa di positivo”.
Per esempio?
“Tutta una certa monnezza – e lasciami passare il termine – che gira attorno al vino, e non solo, scomparirà. O dovrà ricollocarsi. Penso a tutti quegli pseudogiornalisti pronti ad agitare un bicchiere e a fare una foto su Instagram e a sentirsi – si dice così – influencer. Credo che saranno tempi duri per loro. Chi non aveva un mestiere finirà. Perché in molti non hanno né competenze, né affidabilità. Il mondo del vino è un mondo complesso e non basta saper fare una foto per essere esperti e scriverne. Magari non spariranno del tutto ma avranno un riposizionamento”.
Questo momento così surreale darà il colpo di grazia anche alla ristorazione gourmet? Sarà la rivincita della cucina tutta tradizione e territorio?
“Il momento surreale lascerà il segno. Il distanziamento, le norme di sicurezza, incideranno parecchio nell’offerta. Parecchi rischiano di non poter rispondere a questi criteri. Chi ha trenta coperti, il personale e il menu come farà a mantenere tutto? Chi non ha un dehor esterno d’estate come farà? Mi pare di aver letto che sarà meglio evitare anche l’aria condizionata”.
Non per tutti sarà così.
“Probabilmente è vero. Se penso ad Heinz Beck alla Pergola a Roma penso che non avrà problemi. Ha tutti gli spazi che servono. Ma poi mi vengono in mente altri dubbi. Con che spirito andrai al ristorante? Guarderai in faccia chi è più vicino. E se uno starnutisce? La ristorazione non morirà. Prima o dopo una cura o un vaccino spunteranno e tutto questo sarà un brutto ricordo. Ma chi resisterà?”.
E le pizzerie?
“Peggio. Il gomito a gomito era uno stile di vita. Pensa ai pizzaioli, sei-sette davanti a un forno. Come faranno? Bisogna stringere i denti e aspettare che passa a’ nuttata. La ripartenza sarà pazzesca. Col new deal si scateneranno tutti ma devi avere la capacità di resistere, quanto non si sa”.
Si salveranno col delivery?
“Il delivery incide poco. È un tema importante, ma non decisivo per una economia di una azienda di food. Tuttavia ti può aiutare a sopravvivere ma non puoi fare numeri”.
Esiste secondo te in Italia un giornalismo enogastronomico?
“Sì, esiste. Ci sono grandi professionisti. Ma esistono anche gli improvvisatori. L’enogastronomia è un settore molto importante per la nostra economia. E i giornalisti bravi servono. Purtroppo c’è chi lo fa come se andasse al dopolavoro ferroviario. Ci rimedi una cassetta di vino, un week end. Ma alla fine la mancanza di professionalità verrà fuori. Un mestiere che va tutelato. Questo momento surreale potrà essere una occasione per capire chi vale e chi non vale”.
Uno che vale?
“Basta leggere quello che scrive, come lo scrive, come lo propone, cosa propone, gli strumenti che usa, il team che mobilita, il marchio di fabbrica che ci sta dietro…”.
Fammi alcuni nomi di chi è bravo allora…
“Daniele Cernilli, Paolo Marchi, Laura Mantovano, Franco Maria Ricci, Luciano Ferraro, Enzo Vizzari, Luciano Pignataro, Luigi Cremona. Ce ne saranno altri ma sono i primi nomi che mi vengono”.
Cosa porti con te dell’esperienza al giornale L’Ora?
“Tutto. La mia scuola, tutto quello che ho imparato forse l’ho imparato in quei dieci anni. Il metodo di lavoro, il rigore, la verifica delle fonti, lo scrupolo della professione. E poi l’atteggiamento mai servile, l’orgoglio della categoria, e ancora saper guardare al futuro e imparare a scrivere bene”.
Come ti sembra la Sicilia oggi vista da Roma e tanto tempo dopo l’esperienza al giornale L’Ora?
“Lontana, sempre più lontana, purtroppo. Ci sono eccellenze e grandi arretratezze di chi si sa guardare solo l’ombelico, non sa guardare al futuro e non sa dare fiducia a chi vuol dare innovazioni. E io dico agli imprenditori dell’agricoltura e del turismo, investite, scommettete, portate il meglio che fate in Europa e nel mondo, invadete il pianeta con le cose buone che si fanno in Sicilia. Pensate in grande. La Sicilia ha una storia grandissima ed è ridotta a una cenerentola. Noi ci crediamo. E con le nostre guide dedicate alla Sicilia facciamo la nostra parte. Le guide sono molto vendute. Segno che smuoviamo curiosità e interesse”.
Tuo figlio Claudio è direttore de Il Foglio. Ogni tanto gli dai un suggerimento?
“Quando mai. È lui a darli a me semmai. È molto più bravo di me. Fa un bel giornale senza colore politico che guarda all’Europa, al futuro, all’innovazione. Un quotidiano moderno”.
Ci sarà ancora spazio per il giornalismo nel futuro?
“Sì, tanto giornalismo. Assolutamente sì, ci sarà spazio. Ma serve la competenza. Ci sono tanti giovani fenomeni. E con gli strumenti della tecnologia sarà sempre meglio. Il digitale non è un nemico. È un alleato. Nelle democrazie l’informazione libera non morirà mai”.
Fabrizio Carrera
L’INTERVISTA A SALVATORE PASSALACQUA