Le anticipazioni sull’intervento a Sicilia en Primeur: l’Isola uno scrigno di vitigni antichi e inutilizzati, è ora di vinificarli, una grande opportunità per il futuro
Lo troviamo al telefono in Trentino mentre sta chiudendo la valigia per sbarcare a Sicilia en Primeur.
Il professore Attilio Scienza, ordinario di Viticoltura all’Università di Milano, ci anticipa i temi della sua relazione dedicata ai giornalisti che per tre giorni soggiorneranno sull’Etna all’evento di Assovini Sicilia.
Parte da una considerazione sui Paesi del nuovo mondo, Cile, Argentina e Sud Africa, che stanno vendendo più sfuso, segno di una crisi del vino diventato commodity e che non li vede più in grado di comunicare il territorio. “In quei mercati c’è una maggiore quota di vino sfuso nei confronti di quello imbottigliato – spiega -. C’è molto più vino sfuso che poi va nei luoghi di vendita e di consumo dove viene imbottigliato. Questo è un sintomo di una condizione di sofferenza, perché così diventa materia prima senza origine e qualifica, acquistato, nella maggior parte dei casi, dalla Gdo per essere messo in bottiglia con il proprio marchio”.
Come dice il professore, sulla scena internazionale tutt’altro destino sarebbe riservato alla Sicilia, che avrebbe oggi un asso nella manica che nessun altro Paese possiede: i vitigni storici. “La Sicilia deve fare una scelta precisa su varietà che non siano presenti su altre parti del mondo. Il futuro è condizionato dalla valorizzazione di queste cose. Se il Nuovo Mondo non vende è perché il loro vino è anonimo”. Sono tantissimi, dai nomi inusuali e a volte curiosi, i vitigni recuperati nelle diverse aree dell’Isola, la maggior parte selezionati sull’Etna. “E’ il luogo dove hanno avuto la maggiore possibilità di conservarsi, perché lì la viticoltura si è fermata. Nel periodo in cui nelle altre zone la viticoltura si modificava con l’introduzione di vitigni internazionali, l’Etna rimaneva zona vergine. Del resto è iniziata una produzione importante solo 10 anni fa”.
Racinedda, Orisi, Carnuffino, Cela Cela (a bacca rossa) o Cutrera, Oriddru, Precoce, Preventivo (a bacca bianca), solo alcuni delle 80 varietà nuove per scoperta e antiche per storia. Adesso sono oggetto di un ciclo di vinificazione giunta al terzo anno per ottenere il riconoscimento da Roma. Seguiti dall’equipe del centro per l’innovazione Ernesto del Giudice di Marsala. “Abbiamo cominciato le sperimentazioni enologiche e abbiamo i profili sensoriali. Rappresentano una ricchezza, in netto contrasto con varieta’ come Chardonnay, Merlot e Syrah, questi sono assolutamente originali, c’è un mondo da scoprire. Per esempio il Racineddu è interessantissimo dal punto di vista sensoriale. Sono stati abbandonati non perché fossero cattivi – tiene a precisare Scienza -. Ma perché poco produttivi. La viticoltura era orientata su vini da taglio. Se si è diffusa la varietà di Carricante la ragione è nel suo stesso nome, perché “caricava”, cioè produceva molto”.
Un patrimonio che potrebbe fare massa critica, rappresentare un nuovo modello di sviluppo, secondo il professore. “Pensiamo al Brunello di Montalcino, se ne coltivavano all’inizio un centinaio di ettari, ora sono 2000. I viticultori hanno avuto fiducia su questo vitigno e lo hanno sviluppato. E ancora il Sagrantino venti anni fa era coltivato in neanche otto ettari, oggi sono più di mille quelli dedicati”.
Investendo su queste risorse riportate alla luce, la Sicilia potrebbe quindi essere pronta anche per un mercato più evoluto. “Se pensiamo alla Cina, non ha conoscenza sul vino che inviamo, i consumatori conoscono solo alcune varietà, ma è un mercato che si evolverà e troveranno nei nostri vini qualcosa di più”. E tutto il lavoro lo si dovrà allora concentrare nell’opera di comunicazione. “Non è certo facile comunicare questi vitigni, come può esserlo per il Syrah, il Merlot o il Cabernet Sauvignon, però si possono comunicare se si punta ad una comunicazione prossimale, che si rivolge al trade, all’ultima parte della filiera, enotecche, ristoranti, venditore locale, ultimo segmento importantissimo perché è lui che sarà a testimoniarli e a valorizzarli, perché fa per noi la comunicazione”.
Cosa comunicare però della Sicilia? Prima di tutto territorio, nel senso di continente, per Scienza. “Il valore aggiunto è la variabilità, il fatto che sull’Isola si possono trovare cose uniche, la diversità è la forza della Sicilia. E allora bisogna fare della Sicilia un mosaico dove i tasselli sono le piccole realtà e i vitigni storici”.
Dichiara la necessità di un altro modo di fare viticoltura e a supporto ha sviluppato, insieme al suo gruppo di ricerca, una piattaforma informatica per ora inerente solo al territorio dell’Etna e che esporrà a Sicila en Primeur durante il convengno.“Si tratta della prima piattaforma informatica di gestione del territorio da cui le cantine possono trarre informazioni sull’uva, pensato per indicare loro le scelte sostenibili sia dal punto di vista energetico dia ambientale. Ma è anche un sistema che possiamo allargare al di fuori del territorio etneo, per esempio alle grandi cantine sociali del trapanese. Le piattaforme sono strumenti per imbottigliare qualità”.
«ABITUARE IL CONSUMATORE A USARE SENSI E SENTIMENTO» – Oltre alla necessità di un nuovo modo di produrre, il professore, lanciando una provocazione, individua un’altra rivoluzione di cui avrebbe bisogno il mondo del vino: il liberarsi dai punteggi. “Ci siamo rovinati perché abbiamo banalizzato i nostri vini con i punteggi. Un vino non è buono perché ha preso 95. Abbiamo perso la consuetudine di apprezzare il vino. Non si può misurare con un punteggio, creare categorie di vini. Il consumatore si deve abituare a utilizzare sensi e sentimento del gusto, a sfidare la propria esperienza e a confrontarsi col vino per poterlo capire. Quella dei punteggi è una trappola dalla quale dobbiamo uscire. Dobbiamo eliminare le tecniche di Parker. Questo è il futuro. Il punteggio a gerarchie ha determinato la banalizzazione del gusto. Se si seguono questi schemi ridicoli il nostro lavoro di ricerca genetica e dei territori non serve allora a niente”.
«UN ERRORE DEFINIRE L’ETNA UNA BORGOGNA DEL MEDITERRANEO» – E chiama in causa anche i francesi, o meglio chi scimmiotta i produttori d’oltralpe. “Le categorie di vino Bordeaux, Borgogna, Champagne sono diventati modelli internazionali a cui la viticoltura nei Paesi emergenti si è riferita. E anche in Italia si sono seguiti. Bisogna uscire da questo circolo di emulazione”. E a questo punto del discorso conclude, nel suo stile, con una perla di saggezza: “Chi insegue non arriverà mai per primo”. Il successo nei mercati significherebbe allora puntare tutto su originalità e differenza. “La Sicilia, con questi vitigni, può fare la moda dei prossimi anni”.
Fabrizio Carrera, Manuela Laiacona, Maria Antonietta Pioppo