La truffa è sempre dietro l’angolo. Ma la soluzione arriva dalla Svizzera.
Precisamente dal dipartimento di Chimica e Bioscienze applicate dell’Eth di Zurigo, un innovativo metodo a basso costo che potrebbe mettere presto al tappeto il mercato degli alimenti “taroccati”, vera e propria piaga per il “Made in Italy”.
La storia la racconta il New York Times che si concentra, in particolare, su uno dei prodotti maggiormente contraffatti nel mondo: l’olio di oliva italiano. Qualche mese fa, il giornale americano aveva pubblicato un servizio con il quale affermava che il 69% delle bottiglie importate non supererebbe gli standard che consentono ad un olio d’oliva di essere considerato extravergine.
Ed ecco, allora, la geniale idea che arriva dalla Svizzera, a pochi chilometri dall’Italia. Si tratta di una sorta di “targa” di riconoscimento formata da Dna che verrà inserita all’interno della bottiglia di olio. Lo spiega al New York Times la dottoressa che ha curato la ricerca, Michela Puddu dell’Eth di Zurigo: “L’idea di fondo consiste nello sfruttare il Dna utilizzandolo come un vero e proprio codice identificativo a barre”. Tecnicamente si tratta di inserire all’interno dell’olio -al momento dello stoccaggio- piccolissime quantità di Dna, la cui sequenza deve essere nota e decisa a priori, incapsulato in microsfere. Una sorta di “tag” identificativa del prodotto. “La metodica, unica nel suo genere, ha la particolarità di essere sia qualitativa sia quantitativa. Da un lato, analizzando la “targa” a Dna, è possibile sapere se l’olio in questione è effettivamente quello dichiarato. Dall’altro, se la concentrazione di nanoparticelle non corrisponde al valore originale, significa che probabilmente all’olio è stato addizionata qualche altra sostanza” prosegue l’esperta. Il tutto avviene sottoponendo il campione a un campo magnetico utile a separare le microsfere. Isolate dal prodotto, con un semplice apparato per analizzare il materiale, è possibile risalire alla sequenza di Dna. La tecnica, secondo quanto dichiarano gli esperti, avrebbe un costo di “etichettatura” di circa 0,02 centesimi per litro.
In questo periodo, sono tantissime e diverse le tecniche per adulterare l’olio. Una consiste nel “tagliare” il vero extravergine con un olio di qualità e costo nettamente inferiore proveniente da altri Paesi. Una procedura, in sé consentita, a patto che venga riportata in etichetta l’origine delle materie prime. Ciò che invece non è legalmente consentito è spacciare per extravergine un olio tagliato con materie che nulla hanno a che fare con le olive. È il caso dell’addizione con oli ottenuti dalla soia, beta-carotene e clorofilla, espedienti per mascherare colore e sapore del prodotto. Ecco perché, sviluppare tecniche veloci e a basso costo per monitorare la bontà dei prodotti, è oggi più che mai necessario per salvaguardare i produttori che lavorano secondo le regole.
La tecnica del Dna, però, lascia perplessi proprio i consumatori. Non sarebbero d’accordo ad utilizzare prodotti addizionati con particelle contenenti Dna. Ma il professor Robert Grass, spiega: “La tecnologia sarà fruibile se i potenziali rischi saranno nettamente inferiori ai benefici. Particelle come quelle da noi utilizzate e molti altri additivi sono una costante nel cibo”.
La ricerca svizzera, per ora, si è concentrata sull’olio di oliva. Ciò non significa che saranno ad altri prodotti. “In teoria la tecnica potrebbe essere sfruttata anche per molte materie prime al di fuori del settore alimentare. Un esempio? Attraverso questo approccio sarà possibile smascherare furti e manomissioni di carburante, un fenomeno oggi in costante crescita” conclude la Puddu.
C.d.G.