Mercato Ballarò
I palermitani preferiscono la cucina asiatica.
Così è risultato da una ricerca di tesi di laurea intitolata “La piazza universale è a Ballarò. Prima mappa etnografica dei luoghi dell’alimentazione a Palermo” presentata al convegno su Alimentazione, produzioni tradizionali e cultura del territorio, tenutosi in questi giorni al Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino organizzato dalla fondazione Ignazio Buttitta. A condurla Rosalia Schiera, laureanda della Facoltà di Lettere di Palermo. La finalità dell’indagine è stata quella di analizzare il reale grado di integrazione culturale nel quartiere dell’Albergheria di Palermo, tra i palermitani e le comunità straniere, attraverso il cibo, scegliendo come area privilegiata d’indagine il mercato storico di Ballarò dove gravitano oggi tradizioni gastronomiche da diversi paesi del mondo. Le interviste sono state somministrate ai gestori dei ristoranti del quartiere palermitani e stranieri, e ai titolari di mini market, testimoni in prima linea del fenomeno in esame. In analisi la tipologia di clientela e il suo comportamento dinnanzi al cibo straniero. “Abbiamo chiesto ai gestori stranieri se c’è una fruizione palermitana e viceversa a quelli locali, che cosa viene cercato, se ci sono pregiudizi sul cibo, abbiamo anche chiesto di descrivere che tipo di facce fanno quando assaggiano”, spiega la Schiera.
Rosalia Schiera
La composizione etnica della zona vede convivere assieme ai palermitani ghanesi, bengalesi, mauritiani e cingalesi, ma risulta che la comunità africana rimane ancora quella più isolata. Il motivo sarebbe anche la mancanza di un contatto culinario. Lo spiega la Schiera: “Le nostra cultura e quella africana vivono a stretto contatto ma non si incrociano, si sfiorano ma non si integrano mai, l’offerta alimentare ghanese non permette un avvicinamento. Vi sono prodotti provenienti dall’Africa che non si integrano nella nostra dietra come alcuni pesci di lago o roditori, vi sono poi spezie o materie prime di cui manca la tracciabilità e questo crea diffidenza nei confronti del prodotto. Vi è come un muro tra le due culture. Se non possiamo avvicinarci alla cultura con il cibo, così come avviene con la musica, si rischia l’isolamento”. Più simile ai nostri standard quelli della cucina asiatica. “Il loro cibo è più simile al nostro, molti punti vendita sono vere e proprie rosticcerie, e le materie prime con cui sono preparate le pietanze sono quelle reperite al mercato, nel luogo, la gente riesce a identificarle”. I dati raccolti prevedono un ampliamento, Ballarò è solo la prima tappa della ricerca che la Schiera allargherà agli altri quartieri della città.