Un oculista assumerebbe mai un assistente che non sappia cosa sia la cornea o il bastoncello?
Si fa un gran parlare di vino. Ci sono sempre più eruditi in materia. E' febbre di condivisione. Non si fa altro che “postare” testimonianze su ciò che si è bevuto e dove si è bevuto. Di passi avanti ne sono stati fatti. Sembra che la cultura del vino dilaghi di questi tempi. Eppure, sono ancora tanti coloro che non sanno nemmeno l’Abc. “Niente di male”, penserete. E concordo. Certamente l’ignoranza è ammessa. Non nella front line però, quella composta da bar, wine bar, cocktail bar dove il vino è coprotagonista insieme ad altri alcolici e superalcolici. Lì è inammissibile, o lo dovrebbe essere proprio per dogma, perché stabilito dalle “tavole della legge”.
Nell'anello della catena che unisce produttore e consumatore, succede, a volte, che si manifestino le più grosse, e aggiungo preoccupanti, lacune. Capita, in tantissimi ambiti. Pensando a quello complementare della ristorazione, valutando la preparazione di chi assiste i clienti al tavolo, c’è ancora tanta strada da fare (mi riferisco all’offerta media).
Cito un caso capitato di recente in un wine bar di Palermo, giusto per proporre un esercizio di riflessione (quando le cose diventano scontate perché sotto agli occhi di tutti non ci si deve stancare mai di denunciarle). Ora, non si vuole fare di tutta un’erba un fascio, perché tanti sono coloro che ogni giorno si battono per educare il consumatore al calice di qualità, lavorando a stretto contatto con i produttori e con spirito di squadra. E non esterno il nome del locale perché è il fatto in sé che merita l’attenzione. Il wine bar in questione, molto frequentato, si trova nel centro storico, per ironia della sorte ubicato in quella stessa zona dove qualche giorno fa è andata in scena Sicilia en Primeur, la manifestazione promossa da Assovini Sicilia.
Al momento dell’ordinazione (non so se a prenderla fosse uno dei gestori del locale o semplicemente un collaboratore), alla domanda su quali vini avessero in carta è stata data una risposta condensata in un mero elenco di vitigni. Solo quello, senza ulteriori dettagli (cattiva abitudine in cui sono incappata parecchie volte in tantissimi locali/ristoranti in giro per l’Italia). Sterile carrellata a cui ha fatto seguito, immancabilmente e inevitabilmente, la richiesta di una ulteriore precisazione sulle cantine, le etichette, la tipologia, la zona di provenienza. Riporto testualmente quanto detto dal barman (aggiungo anche una nota sull’intonazione: era alquanto infastidito dalla lecita domanda): “Ma insomma, non sono importanti le cantine! Semmai le annate!”. Freddura arricchita poi da argomentazioni incongruenti, pericolosissime per l’alto tasso di disinformazione, giusto per propinare come verità assoluta quanto appena proferito e, ribadisco io, per fare più danno. Volendoci soffermare sulla “questione annata”, esemplificativa dell’accaduto, se è vero che conta eccome, inserita in questo contesto dove produttore, storia della cantina-filosofia- metodo di produzione-territorio sono elementi superflui, che “tolgono tempo all’ordinazione”, rimane un’indicazione svuotata del suo contenuto, risucchiata, insieme a tutto il resto, in un vortice di pressapochismo.
Purtroppo si sente tutto il peso della coesistenza con l’aperitivo alcolico, quel prodotto semplice, che non richiede conoscenze, racconti, spiegazioni, che si pronuncia con un monosillabo. Concepito per essere easy e che è giusto che faccia anche la sua parte nel mercato. Ma chi è abituato a vendere alcolici e vino non può riservare lo stesso trattamento a tutti i prodotti. Ordinare un calice di vino, anche durante “l'happy hour” non può risolversi in un bianco, rosso, bollicine, o Sangiovese/Traminer, perché non si ha tempo da perdere, perché “è inutile tutta sta solfa” sul vino, “perché tanto a chi giova saperlo”, “tanto è solo un calice di vino a 5 euro”.
Su un caso del genere si poteva soprassedere forse qualche anno fa. Credo che non lo si debba fare oggi. Se da un lato pretendiamo il massimo della chiarezza e delle informazioni per i prodotti che consumiamo a partire dall'etichetta, dobbiamo esigere massima competenza e preparazione da parte di chi ce li propone, che si tratti del salumiere, del cameriere o del barman. Non facciamo altro che concentrarci, produttori in primis, noi della stampa, opinion leader e opinion maker, tecnici e wine lover, su temi quali vitigni autoctoni, solfiti, sostenibilità delle pratiche viticole, terroir e chi più ne ha più ne metta per poi lasciare che tutto questo fermento di dibattiti o di percorsi che si avviano si ingolfino nell’imbuto della conoscenza, che tutto quel corpus e patrimonio di informazioni attorno al vino rimanga sterile, senza arrivare nemmeno al consumatore medio finale e ai giovani. Cosa ne rimane del vino, nella sua accezione al momento dell’ordinazione? Si parla di come arredare l’attico senza porci il problema delle fondamenta del palazzo.
I wine bar, mete pomeridiane e serali per tanti ragazzi, certo altra attività rispetto alle enoteche che vantano un target più preparato e sensibilizzato al tema vino (escluse, tra l’altro, da questa riflessione), dovrebbero essere il terreno privilegiato per trasmettere conoscenza sul vino. Questo invece continua ad essere bistrattato, svalutato come mera bevanda alcolica alternativa al cocktail. Ancora, in molti locali, non viene presentato per quello che è, con tutto il patrimonio che si porta dentro. E' trandy pronunciare solo il termine annata (oggi, qualche anno prima era tutto un exploit della parola barrique/barricato), senza la più pallida idea di cosa si stia parlando, il resto che importanza ha!
Quanto conta la professionalità e il professionismo? E quanto il senso di responsabilità (nei confronti del consumatore e anche di chi quel vino lo fa)?. C’è il boom di iscrizioni agli istituti alberghieri, ovunque si organizzano corsi di introduzione alla degustazione per chi vuole lavorare in questo canale, invece capita sovente di ritrovarsi davanti qualcuno con la comanda in mano che sappia davvero meno di niente. Il così detto “personale qualificato” aumenta, cresce l’offerta. Dall’altro lato i produttori oramai hanno rimboccato le maniche per curare in prima persona il rapporto con i propri clienti e per formarli. Il gestore del locale viene poi sempre più sensibilizzato dagli agenti a formare una squadra competente, padrona del giusto know how, consapevole del valore del servizio di vendita. Eppure, un cortocircuito avviene. L’ignoranza trova il suo spazio. E ancora, quanto incide questa ignoranza nelle problematiche che pesano sul mercato del vino e sulla vita di tantissimi giovani, come il consumo eccessivo dell’alcol? Fino a che punto dobbiamo ammetterla?
Manuela Laiacona