Dopo la carta dei vini, quella dei distillati e quella delle acque minerali, sarebbe opportuna, in taluni ristoranti, la carta delle bolle.
E non ci riferiamo all'elenco degli spumanti e degli champagne disponibili in cantina, ma delle “bolle di accompagnamento” relative alle materie prime acquistate.
Ci fidiamo poco, infatti, di tutti quei pistacchi di Bronte, di quelle valanghe di pomodorini di Pachino, delle cipolle rosse di Tropea, dei passiti di Pantelleria, del lardo di Colonnata, dei fichi di Belmonte, delle uova di Paolo Parisi, del prosciutto Patanegra, dei dessert di questa o quella blasonata pasticceria, dell’ennesima bistecca di vera chianina. Ma li avete mai visti, per esempio, Bronte, Pachino o Tropea? Non vi sembrano troppo piccoli per far sì che ogni ristorante, bistrot, wine bar, taverna o pizzeria dello stivale proponga, tutti i giorni dell’anno, prodotti provenienti da questi territori?
Un paradosso? Basti pensare alle frittelle di bianchino − in realtà si tratta di Neosalanx tangkahkeii proveniente dalla Cina e meglio conosciuto come“pesce ghiaccio” − o alla sardella di Crucoli, che si trovano ancora nei menù di tanti ristoranti nonostante la pesca e la vendita di tale prodotto sia attualmente vietata. Rischiare una sanzione, o addirittura la chiusura del locale, pur di vendere qualcosa che non è. Pur di prendere in giro i propri clienti. Uno strano modo di fidelizzare.
In un articolo di un paio d’anni addietro, un esponente dell’Associazione regionale allevatori della Toscana forniva i dati sui capi di chianina macellati ogni anno e delle relative bistecche ottenute. Cinquemila capi per duecentocinquantamila bistecche, che si esauriscono in poco più di un mese nella sola regione Toscana! E allora, tutto quello che viene venduto come chianina in giro per l’Italia che cosa è? E da dove viene? E lo stesso varrà, ne siamo certi, per la maggior parte delle composte di cipolle rosse di Tropea, delle concassé di pomodorini di Pachino, dei tanti “letti” di Caciocavallo di Ciminà, dei gamberi rossi dello Jonio, delle amatriciane con le uova di Paolo Parisi o degli innumerevoli dessert al pistacchio di Bronte.
Durante una recente degustazione, il direttore commerciale della Castro Y Gonzales, una delle più importanti aziende produttrici di Jamon Iberico de Bellota, sussurrò che il prosciutto − il più caro e buono del mondo − ottenuto dai noti maiali iberici “Patanegra” soddisfa a malapena il fabbisogno spagnolo. Eppure non v’è ristorante o trattoria che non ci proponga ogni sera il suo tagliere a base di “Jamon iberico” o “Patanegra”, come lo chiamano loro. Il fatto è che non desideriamo necessariamente il pistacchio di Bronte, ci basterebbe quello di Agrigento o della Grecia; non pretendiamo le nocciole del Piemonte, ci accontenteremmo, e sarebbe meglio, di quelle di Cardinale; non pretendiamo il filetto di Chianina, ci basterebbe una meravigliosa bistecca di un meraviglioso bovino podolico cresciuto in Sila. E chi se ne frega delle uova delle galline allevate a terra da Paolo Parisi, potremmo certamente accontentarci di quelle di un anonimo pollaio di Caraffa, purché potessimo conoscere la loro effettiva provenienza e purché ne potessimo controllare il percorso. Purché nel menù ci sia scritta la verità. E se non è possibile, meglio niente: bucatini alla Amatriciana, punto. Purché, insomma, si possa scegliere senza inganno e senza frode. Quest’ultima, peraltro, punibile penalmente.
C’è anche un altro aspetto.
Feuerbach sosteneva che “der Mansch is was er isst”, ossia che “l’Uomo è ciò che mangia”. La coincidenza tra “essere” e mangiare ci sembra eccessiva, ma perché, nel caso fosse vera, dovremmo correre il rischio di “essere” falsi e fraudolenti?
Ludwig Andreas Feuerbach
Certo, ca va sans dire, molti ristoratori sono assolutamente sinceri e sulla bontà e veridicità delle materie prime utilizzate nelle loro cucine possiamo ben stare tranquilli. Ci viene in mente Marco, per esempio, che nel laboratorio del Bar Centrale di Catanzaro lido produce uno dei migliori gelati al pistacchio della penisola, pistacchi che provengono veramente da Bronte, anche se lui non lo scrive da nessuna parte! Ma, nel dubbio, fate come noi. La prossima volta che vi proporranno un “Filetto di Chianina con contorno di cime di rapa su Caciocavallo silano alla piastra e concassè di pomodorini di Pachino” piuttosto che una “Mousse di nocciole del Piemonte su crema di liquirizia di Rossano con granella di pistacchio di Bronte”, voi chiedete la carta delle bolle. Chiedete di poter verificare l’esistenza in magazzino di quelle materie prime. E poco importa se agli occhi del cameriere e degli altri commensali quelli strani risulterete voi. Ma perché a certi ristoratori è proibito essere disperatamente sinceri?
Giancarlo Rafele
Nicola Fiorita