Alessandro Chiarelli, presidente Coldiretti Sicilia
La Coldiretti in questi anni lo ha sempre denunciato chiedendo l’intervento urgente del Governo e dell’Unione Europea.
Parliamo della contraffazione alimentare e del così detto Italian sounding, ovvero di quei prodotti alimentari fatti all’estero e che evocano in qualche modo, per lo più in maniera lampante, il made in Italy. Un fenomeno di palgio che ha un valore di 60 miliardi di euro l’anno, quasi la metà del fatturato del settore pari a 127 miliardi e che vale più del doppio dell’exoport pari invece a 23 miliardi. Se ne è discusso a Roma in occasione della presentazione della prima relazione sulla contraffazione e pirateria nel settore agroalimentare, elaborata dalla Commissione Parlamentare, alla quale hanno partecipato il Ministro per le Politiche Agricole, Mario Catania, il Procuratore Antimafia Pietro Grasso e il Presidente della Coldiretti Sergio Marini.
“Chiediamo da anni l’intervento per contrastare questo fenomeno, lo abbiamo sempre fatto con documenti alla mano. Non concordiamo con questa linea dello Stato preso per finanziare aziende che in un momento di crisi invece di produrre in Italia, con manodopera italiana, e di valorizzare il prodotto italiano, producono all’estero, non deve accadere. Queste aziende si avvantaggiano a spese dell’Italia, producendo prodotti non italiani e vendendoli nel nostro Paese stesso e nel mondo. È furto di identità, deontologicamente non accettabile”, afferma Alessandro Chiarelli, presidente Coldiretti Sicilia, tra i presenti all’incontro.
“Fenomeno che ci costa miliardi di euro, se non ne eravamo consapevoli negli anni Cinquanta, e non ce ne accorgevamo negli anni Settanta, ce ne stiamo accorgendo oggi nel 2012 che viviamo la crisi”, aggiunge. Apprezzata la disponibilità dichiarata dal Ministro Catania di portare le istanze al Governo per arrivare ad un eventuale provvedimento, Chiarelli chiede invece che l’applicazione di una risoluzione sia fatta con la massima urgenza in tempi brevissimi. “Vediamo che l’intenzione è quella di fare chiarezza sulla cosa, ma devono venire subito le norme, anche il Parlamento Europeo ha legiferato sulla tracciabilità delle etichette su prodotti ma queste prevedono una scadenza a tre anni. Le aziende non possono aspettare neanche un anno, lo stiamo anche notando con i fatti di questi giorni, con disagi esternati attraverso forme di protesta più o meno condivisibili. Il disagio c’è”.
Ma l’internazionalizzazione o delocalizzazione è solo un aspetto del quadro critico che sta mettendo in ginocchio il settore agroalimentare, e ancora di più, quello siciliano che per Chiarelli sarebbe penalizzato da un problema che sta a monte: nelle infrastrutture. “Le autostrade del mare rimangono un sogno mai decollato, non se ne parla più, la ferrovia invece di fermarsi a Eboli si è fermata a Napoli. Per andare da Napoli in Sicilia non si può andare, la notte non si può viaggiare, il treno ha poi un problema che si chiama traghetto, la ferrovia in Sicilia ha per giunta un unico binario”.
Chiama poi in causa le lobby della distribuzione che giocherebbero, per la forza sociale che rappresenta le imprese agricole, una parte importante nell’impedire il decollo al settore. “Siamo stanchi di vedere le piattaforme della Gdo che vendono il pomodoro di Pachino nella piattaforma laziale per ignorare quella di Catania – dichiara -. Perché non fare direttamente la logistica in Sicilia? Perché lobby che trasportano latte devono rifiutarsi, in un certo senso, di trasportare quello fresco siciliano? Perché hanno preso impegni con le multinazionali. Siamo forti di un principio: abbiamo grande qualità, ottimo cibo produzione primaria in tuti i campi, pensando al mondo animale siamo la seconda regione d’Italia per ovini allevati, un milione in Sicilia, e non riusciamo a fare massa critica sul Pecorino siciliano, per esempio? Dal Consorzio del Pecorino è stato dichiarato che ne sono stati prodotti quest’anno 33 quintali, quando una sola azienda ne può produrre in media 150. Qualcosa non funziona. Si deve intervenire”.
C.d.G.