(Carlo Passera, Andrea Aprea e Nicholas Sawyer)
Da una improvvisa difficoltà procurata dal calo degli affari, all’idea di realizzare una maricoltura innovativa in alto mare. Questo il percorso imprenditoriale di Brian O’Hanlon, terza generazione di una famiglia allevatori di pesci con base al mercato di New York, che nel 2007 ha fondato Open Blue per sviluppare la sua visione di un allevamento ittico innovativo e sostenibile.
Da allora si è dedicato a soddisfare il bisogno del settore di pesce di alta qualità, allevato in un ambiente naturale e controllato. Si tratta del Cobia – nome scientifico Rachycentron canadum – anche conosciuto come black kingfish, black salmon, kuro kampachi, e lemonfish: un pesce pelagico solitario che non vive in banchi, perciò la sua pesca commerciale non è mai esistita. Fisicamente è un pesce dal corpo affusolato che somiglia a uno squalo, ha una pelle spessa con poche squame, una testa piatta e spine dorsali affilate. Il cobia si può trovare in varie aree del pianeta, in acque tropicali e subtropicali, inclusi i Caraibi e l’Oceano Indiano. Si può tipicamente trovare in acque pulite, lontane dalla costa, attorno a oggetti che vanno alla deriva, cosa che permette loro di adattarsi alla vita nelle grandi gabbie di rete in mare aperto.
(Nicholas Sawyer con il Cobia)
Ed è quello che ha fatto Open Blue, realtà pioniera e leader nell’allevamento del pesce d’altura e che gestisce il più grande sistema di maricoltura in mare aperto al mondo. Questa società, infatti, ha creato un nuovo modello per il settore, che permette ai pesci di svilupparsi nel loro ambiente naturale, garantendo al mercato il pesce migliore in termini di sapore e qualità perché l’azienda offre soluzioni innovative e sostenibili per la maricoltura in alto mare che rispettano l’Oceano e rappresenta la punta di diamante di quasi un decennio di ricerca innovativa e investigativa sull’acquacoltura in collaborazione con i più importanti laboratori scientifici e universitari al mondo. L’obiettivo è offrire pesce che possa nutrire le generazioni di oggi e del futuro, in armonia con il ciclo marino. L’impegno è prendersi cura del delicato ecosistema del mare alla ricerca delle acque migliori, dei migliori processi e degli ambienti più naturali ideali per l’allevamento.
(Cobia fritto con vinaigrette)
Tutto questo è stato spiegato a Milano da Nicholas Sawyer che ha l’incarico di fare conoscere il Cobia agli italiani. E quel è il modo migliore per farlo? Nella prima uscita pubblica in Italia, portarsi insieme un giornalista, Carlo Passera di “Identità Golose” che lo interroghi e un grande chef, Andrea Aprea del ristorante Vun del lussuoso dell’hotel Park Hyatt Milano situato nella famosa Galleria che collega il Duomo al Teatro alla Scala.
La bravura di Andrea è indiscutibile. Però quando ha avuto nelle mani il Cobia consegnatogli per provarlo, ha ritenuto opportuno svolgere una sorta di compito a casa per arrivare super informato all’incontro organizzato per presentare questo pesce che cresce ad una velocità doppia di quella del salmone, è molto versatile in cucina, e può rappresentare la nuova frontiera della cucina ittica. Così Aprea, ormai esperto cobiaista, lo ha proposto scottato per preservarne la fragranza della carne bianca, cotto su esalazione di sale, fritto da bagnare in una vinaigrette tendente al piccante. Una delizia in tutte e tre le preparazione ed, anche, un conferma che il Cobia sarà adottato dalla ristorazione italiana. Anche perché ha tutte le caratteristiche per soddisfare tutti i tipi di palati: “È un pesce puro, sano e delizioso – dice Sawyer -. È molto versatile per le infinite possibilità che offre in cucina.
(Cobia scottato)
L’alta qualità delle sue carni permette di utilizzare il pesce sia crudo che cotto in una vasta gamma di preparazioni. Ha un sapore delicato e oleoso, una buona consistenza che lo rende delizioso in svariate ricette: chi lo ha provato lo paragona alla ricciola come sapore e al pesce spada come consistenza delle carni”. Poi è un pesce privo di ormoni, coloranti e pesticidi e viene allevato in un ambiente a bassa densità e alta energia. Questo fa sì che il pesce sia più sano, naturalmente ricco di proteine e molto ricco di Omega 3”. E poi O’Hanlon è molto attento alle problematiche della sostenibilità sia ambientale sia sociale. Tanto da far dire ai suoi uomini che “la possibilità di lavorare in acque pure e cristalline è essenziale per il nostro lavoro. È per questo che proteggiamo le acque in cui alleviamo i nostri pesci. Abbiamo stabilito una zona di divieto commerciale di oltre 10 chilometri quadrati trasformandola in una zona marina protetta. Inoltre controlliamo l’ambiente circostante e siamo orgogliosi di poter sostenere che non vi sia un impatto significativo sull’ecosistema che circonda gli impianti. Siamo sempre alla ricerca delle acque migliori, dei migliori processi e degli ambienti più naturali dove allevare il Cobia”. E, infine, “siamo impegnati sul fare la differenza nelle comunità in cui lavoriamo, viviamo e operiamo. In particolare, siamo orgogliosi di offrire supporto alle comunità della costa caraibica di Panama dove molti dei nostri dipendenti locali vivono. Usare prodotti locali, offrire supporto all’educazione, finanziare borse di studio e costruire pozzi per la comunità sono solo alcuni dei modi in cui contribuiamo allo sviluppo delle comunità locali”. Tant’è vero che ogni anno, Open Blue stanzia l’1% del fatturato totale a supporto di questi progetti.
A questo punto si potrebbe dire “benvenuto squaletto”.
Michele Pizzillo