L'obiettivo dei due creatori è quello di sviluppare la filiera cerealicola per le innovazioni
(Dino Messina e Giuseppe Russo)
di Davide Visiello
Non si può definire “birra” perché la legge numero 141 del 1989 stabilisce che “la denominazione “birra” è riservata al prodotto ottenuto dalla fermentazione alcolica con ceppi di Saccharomyces Carlsbergenis o di Saccharomyces Cerevisae di un mosto preparato con malto, anche torrefatto, di orzo o di frumento o di loro miscele e d'acqua amaricato con luppolo o suo derivato o con entrambi”.
La Rossa di Hammurabi è una bevanda alcolica non filtrata, non pastorizzata, rifermentata in bottiglia, leggermente luppolata, e nel bicchiere si presenta giustamente torbida con una veste ambrata quasi rossastra, rifinita da un evanescente cappello di schiuma beige. I profumi d’impatto sono di lieviti e minerali, poi vengono fuori l’albicocca disidratata, il miele, le spezie, infine una sfumata foglia di pomodoro e qualche suggestione di oliva bianca. In bocca si avvertono subito apprezzabile acidità, sensazioni di arancia amara e tostature, lo spunto sapido si fa sentire e sostiene corpo e persistenza: non si fa amare al primo sorso, ma dal secondo comincia a incuriosire, entra in punta di piedi, si fa spazio e disseta. Interessante idea da raffinare, sicuramente unica perché è una pseudo-birra sperimentale, la prima prodotta in Italia con il 100% di malto di grano monococco, varietà Hammurabi.
Il monococco è la specie geneticamente più semplice e antica di frumento coltivato al mondo: già intorno all’8000 a.C., come testimoniano alcuni reperti, sulle sponde del Mar Morto ne esistevano diverse primitive coltivazioni con spighe fragili che, una volta mature, si rompevano lasciando cadere i semi sul terreno. È qualche secolo dopo che nei campi della Mezzaluna Fertile, territorio del Medio Oriente compreso tra Egitto e Turchia, si iniziò a coltivare un tipo di grano monococco a spiga rigida, risultato di una domesticazione operata dall’uomo che rapidamente di diffuse in tutta l’Europa e che poi gradualmente venne sostituta dalla coltivazione dei più produttivi grano duro e grano tenero.
Nel solco della tendenza contemporanea alla ricerca di healthy food che tanta attenzione pone nei confronti del recupero e della rivalutazione dei grani antichi, la birra di monococco nasce da una brillante idea di Giuseppe Russo e Dino Messina, ricercatori presso il consorzio Ballatore che dal 1997 si occupa in tutta la Sicilia di analisi e studio nel settore cerealicolo.
“Conduciamo sperimentazioni sul grano monococco da otto anni – racconta Dino Messina – ed è vero che ha rese decisamente più basse rispetto al grano duro e a quello tenero, ma il contenuto di carotenoidi, precursori della vitamina A ed anti-ossidanti naturali, è circa 5-10 volte quello del frumento, inoltre il contenuto proteico, circa il 18% della sostanza secca, è superiore a quello di tutti gli altri cereali comunemente coltivati”.
“Alcuni studi hanno dimostrato che i soggetti affetti dalla cosiddetta “wheat sensitivity”, un disturbo che si manifesta con la sintomatologia della sindrome del colon irritabile ed interessa circa il 6% della popolazione, che normalmente hanno difficoltà a tollerare alcuni cereali durante la digestione, non manifestavano alcun disturbo se alimentati con derivati del grano monococco – spiega Giuseppe Russo – Le cause di questo fenomeno potrebbero essere individuate nel glutine poco strutturato e complesso di questo cereale, anche se i ricercatori stanno estendendo le indagini anche in altre direzioni”.
Oggi il monococco, i cui prodotti derivati si distinguono per un caratteristico colore interno giallo dorato, viene coltivato a scopo sperimentale in Sicilia in un’area di un ettaro e mezzo a Valledolmo, ai piedi delle Madonie e i venti quintali di resa per ettaro hanno la positiva particolarità di essere assolutamente privi di micotossine.
Oltre alla “Rossa di Hammurabi”, con la fondamentale collaborazione del Birrificio Chinaschi di Salemi, Messina e Russo hanno dato vita a una seconda etichetta, la “Birra di Monococco” prodotta con il 50% di malto d’orzo e il 50% di malto di monococco ID331, mentre circa un anno fa si concretizzava un’ulteriore collaborazione con il pastificio Minardo di Modica e nascevano due tipologie di pasta di solo grano monococco.
“Il nostro obiettivo – conclude Giuseppe Russo – non è fare impresa, ma creare le condizioni per implementare i percorsi di sviluppo della filiera cerealicola, mettendo importanti informazioni a disposizione di chi è disponibile a investire nelle innovazioni; l’auspicio è quello di poter continuare a dedicare a questo cereale ulteriori attenzioni nei prossimi programmi di ricerca in modo da proporre il grano monococco come materia prima nella produzione di alimenti ad elevato valore salutistico”.