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La novità

Dal passato le cure per le vigne: i Preparatori d’Uva sperimentano la dendrochirurgia

31 Ottobre 2016
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di Alessandra Flavetta 

Si chiama dendrochirurgia ed è il recupero di una pratica antica, aggiornata in chiave moderna, per curare i vigneti da una delle malattie più diffuse e temibili, il mal d’esca: un complesso di patogeni che attacca il fusto della vite disseccandone il legno e portando all’eradicazione della pianta, in breve tempo se la forma è apoplettica, dopo 4 o 5 anni se la forma è cronica.

La dendrochirurgia è una tecnica “chirurgica” sperimentata in Italia e in Francia dal gruppo di Preparatori d’Uva di Simonit&Sirch, due friulani noti oramai in tutte le zone vitivinicole del mondo per il loro metodo non invasivo di potatura ramificata controllata, una potatura “dolce” che aiuta a prevenire le malattie del legno, perché i funghi attaccano e penetrano la pianta proprio attraverso le ferite della potatura, che se troppo estese possono compromettere l’integrità del sistema linfatico della vite.

Simonit&Sirch, come per la potatura non invasiva, si dedicano alla formazione delle maestranze interne alle aziende per insegnargli la dendrochirurgia ed i risultati  di cinque anni di interventi a Chateau Reynon, nel Friuli da Schiopetto e in Franciacorta da Bellavista sono stati resi  noti nel corso di una conferenza stampa presso il Castello di Spessa, a Capriva del Friuli, nella zona del Collio, alla presenza dell’Assessore all’Agricoltura del Friuli Venezia Giulia, Cristano Shaurli. Dalle operazioni su circa 10.000 viti di cinque varietà (Sauvignon, Sauvignon blanc, Chardonnay, Cabernet, Cabernet Franc e Pinot nero)  è risultato che più del 90% delle piante infette sono state salvate, con notevoli risparmi economici perché non è stato necessario estirpare le piante malate e reimpiantare le nuove barbatelle, che sono improduttive per almeno 6 anni.

Marco Simonit, leader dei Maestri di potatura delle vigne, paragona l’intervento di dendrochirurgia a quello di un dentista sulla carie: “Usando delle piccole motoseghe, si pulisce il cuore del tronco, asportandone la parte intaccata dal mal d’esca e tutto ciò che blocca la fotosintesi, lasciando – spiega – solo i fianchi del tronco per la continuità linfatica, salvando così la pianta, che torna subito a dare i suoi frutti“.  Prima si interviene, meglio è, ovviamente, ma la tecnica vale solo per  la forma cronica della malattia, mentre con la forma apoplettica, che porta al collassamento della pianta, non ha funzionato.  Tanto che dopo tre anni, i risultati degli interventi  nel 2013 su 400 piante di varietà Sauvignon della Maison Schiopetto, dove il gruppo di potatori ha il proprio campus, sono stati meno eclatanti: il 72% delle viti sono risultate asintomatiche, il 18% risintomatiche ed il 10% sono morte. Questo perché “ancora operavamo  sulle viti apoplettiche e su quelle croniche limitavamo il taglio del legno cariato, mentre poi abbiamo imparato che la necrosi va asportata del tutto, così nel campione del 2015, osservato nel 2016, il 97% delle piante sono risultate asintomatiche, il 3% risintomatiche e lo zero % sono morte”, osserva Alessandro Zanutta di Simonit&Sirch.  

A Chateau Reynon, dove dal 2011 è stata sperimentata la tecnica su  1000 piante di Sauvignon, sono tornate produttive addirittura il 99% delle viti e solo l’1% rimanifestava i sintomi della malattia. Denis Dubourdieu, il famoso enologo e viticoltore francese recentemente scomparso, con cui Simonit lavorò quando la Francia affrontava una pandemia di mal d’esca, calcolò che i costi della malattia con il 10% di ceppi infetti “possono essere di circa 50mila euro ad ettaro, senza contare – racconta Simonit – la perdita di qualità, di stile e di riconoscibilità del vino, per gli effetti delle malattie del legno sulle caratteristiche fenoliche e sensoriali dell’uva”. Infatti l’analisi chimica del vino Cabernet  e Sauvignon prodotto da piante infette ha rilevato una  perdita di qualità sensoriale percepibile già con il 5% di uva infetta nel vino. La dendrochirurgia è una riscoperta perché “è stata descritta da Ravaz e Lafon come pratica nota fin dall’antichità per eliminare il legno cariato dal mal d’esca, e Poussard l’ha utilizzata alla fine dell’800 tagliando il legno deteriorato dall’azione dei funghi con risultati molto incoraggianti sul 90-95% dei ceppi”, conclude Massimo Giudici, del gruppo dei Preparatori d’uva.